Il fantasma dei dazi Usa alla fine spaventa il mondo del vino italiano: tariffa al 15%, un danno stimato per le imprese di circa 317 milioni di euro in 12 mesi. Il dato lo ha diffuso Uiv - Unione italiana vini alla conferma del nuovo carico fiscale per l'export dall'altra parte dell'Atlantico. Un risultato diretta conseguenza dell'accordo confermato fra America ed Europa dopo l'intesa fra Ursula von der Leyen e Donald Trump del 27 luglio.
Il commento di Uiv sui dazi al vino: "Danno per produttori e importatori".
In questo modo, secondo l'associazione di categoria, non solo si intacca un comparto che vale il 24% dell'export globale di vino per un controvalore di circa 2 miliardi all'anno ma anche le performance dei partner commerciali d'Oltreoceano. Secondo l'Osservatorio Uiv, per loro il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari. Non solo, ma il danno per i produttori italiani salirebbe di 460 milioni di euro qualora il dollaro dovesse mantenere l'attuale livello di svalutazione. "Sarà - ha affermato Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv - un secondo semestre molto difficile, pur nella speranza che nei tempi supplementari le parti possano correggere il tiro". Diventa quindi necessario "attivare un'alleanza tra la filiera italiana del vino e i partner Usa - distributori, importatori e ristoratori - che per primi si oppongono ai dazi nell'interesse comune delle imprese italiane e statunitensi", ha aggiunto il presidente. Inoltre, per il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti "servirà anche un sostegno da parte dello Stato in termini di promozione del prodotto enologico italiano. Lo scenario è complesso e vede già nei primi 5 mesi di quest'anno un calo tendenziale dei volumi di vino esportati di quasi il 4%".
I vini italiani più esposti ai dazi Usa.
Per Uiv, ben il 76% (l'equivalente di 366 milioni di pezzi) delle 482 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in "zona rossa" con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. Aree enologiche con picchi assoluti per:
- Moscato d'Asti (60% l'incidenza export verso gli Usa),
- Pinot grigio (48%),
- Chianti Classico (46%),
- Rossi toscani Dop (35%),
- Rossi piemontesi Dop (31%)
- Brunello di Montalcino(31%)
- Prosecco (27%)
Come si è arrivati all'accordo sul 15% fra Ue e Usa.
A confermare la tariffa al 15% sui vini italiani è la dichiarazione congiunta Usa-Ue del 21 agosto che "illustra in dettaglio il nuovo regime tariffario statunitense nei confronti dell'Ue, con un'aliquota tariffaria massima e onnicomprensiva del 15% per la stragrande maggioranza delle esportazioni dell'Ue, compresi settori strategici come automobili, prodotti farmaceutici, semiconduttori e legname", si legge in una nota. Un accordo che garantisce "prevedibilità per le nostre aziende e per i nostri consumatori. Stabilità nella più grande partnership commerciale del mondo. E sicurezza per i posti di lavoro e la crescita economica in Europa nel lungo termine. Questo accordo commerciale tra Ue e Usa apporta benefici ai nostri cittadini e alle nostre aziende e rafforza le relazioni transatlantiche", ha dichiarato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. In cambio, si conferma l'impegno Ue ad acquistare per 750 miliardi di dollari (quasi 690 miliardi di euro) in Gnl, petrolio e prodotti nucleari Usa entro il 2028.
L'Ue ha altre priorità: acciaio e alliminio.
A proposito dei dazi sul vino, Maroš Šefčovič, commissario europeo per il commercio (di cui avevamo già parlato nella CASE HISTORY di RMM 2/2025), ha affermato: "Le tariffe su vino, alcolici e birra erano uno degli interessi più importanti dell'Unione Europea. Purtroppo, non siamo riusciti a ottenere questo settore e questa categoria tra i settori che continuerebbero a essere a livello npf, il criterio della nazione più favorita. Entrambe le parti, gli Stati Uniti e l'Ue, sono pronte a prendere in considerazione altri settori: le porte non sono chiuse per sempre. Come Commissione europea lavoreremo il più duramente possibile per spandere i settori anche a vino e liquori, oltre ad acciaio e alluminio".
L'impatto dei sovrapprezzi del vino sul mercato statunitense.
Per quanto riguarda gli effetti sul mercato Usa, secondo le analisi pubblicate a luglio da Uiv, a inizio anno la bottiglia italiana che usciva dalla cantina a 5 euro veniva venduta in corsia a 11,5 dollari; ora, tra dazio e svalutazione della moneta statunitense, il prezzo della stessa bottiglia sarebbe vicino ai 15 dollari. Con la conseguenza che, se prima il prezzo finale rispetto al valore all’origine aumentava del 123%, da oggi lieviterà al 186%. Il conto, inoltre, si fa molto più salato alla ristorazione, dove la stessa bottiglia da 5 euro rischierà di costare al tavolo, con un ricarico normale, circa 60 dollari. Rispetto ai competitor europei, "l’Italia rischia inoltre di subire un impatto maggiore, da una parte per la maggiore esposizione netta sul mercato statunitense, pari al 24% del valore totale dell’export contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna; dall’altra per la tipologia dei prodotti del Belpaese che concentrano la propria forza sul rapporto qualità prezzo, con l’80% del prodotto che si concentra nelle fasce popular", ha ricordato Frescobaldi.