Plant-based sempre più presente nei menu dei brand food retail
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Plant-based, la transizione alimentare che ha conquistato il food retail

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Sappiamo, da sempre, che le proteine sono sostanze nutritive essenziali per il corpo umano, ma oggi sappiamo anche che l’aumento, ad esempio, del consumo di carne non è dannoso solo per la salute, ma anche per il pianeta. Parte da queste semplici considerazioni la transizione verso il plant-based. La produzione di carne, d'altronde, è attualmente responsabile di circa il 15% di tutte le emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’uomo. Inoltre, con l’aumento della popolazione mondiale, il nostro tasso di consumo di carne non sarà più sostenibile, rendendo necessario il ricorso a fonti alimentari alternative, di elevata qualità e ricche di proteine, la cui produzione sia incentrata sulla salute umana, la sostenibilità ambientale e una maggiore biodiversità.

La strategia del successo plant-based: partire dal food retail.

Se da un lato le aziende produttrici di carne si stanno impegnando in modo crescente sia nella realizzazione di una filiera più sostenibile, che passa necessariamente anche dal benessere animale, che nella proposta di prodotti e preparazioni che arricchiscano l’esperienza nutritiva e di gusto, la velocità con cui si diffondono nella società odierna i nuovi trend di consumo impone sfide continue e dai confini più estesi. Nasce da qui una delle chiave di successo delle aziende plant-based. Snodo essenziale è stato il coinvolgimento dei professionisti della ristorazione. Sono nate così partnership strategiche con brand noti della ristorazione moderna sia a livello mondiale, come tra i Beyond e Mc Donald’s, ma anche nazionale, come tra Planted e la catena di travel retail MyChef. La start-up spagnola Heura, che in un anno ha raddoppiato il suo fatturato, conta fino a 3.000 ristoranti partner. Il vantaggio di distribuire il prodotto nel mercato dei consumi fuori casa, grazie ai professionisti del settore della moderna ristorazione che ne hanno saputo cogliere l’opportunità è stato duplice: raggiungere il maggior numero di clienti possibile e vincere le iniziali remore da parte dei consumatori a testare un prodotto alimentare alternativo, grazie alla fiducia risposta nei ristoranti frequentati.

La crescita delle alternative alla carne: 162 miliardi nel 2030.

D’altronde, secondo una recente ricerca di Bloomberg, il comparto delle alternative vegetali crescerà in modo esponenziale nei prossimi anni, raggiungendo a livello mondiale oltre 44 miliardi di dollari entro il 2022, con una proiezione per il 2030 di circa 162 miliardi, pari al 7,7% dell’intero mercato dei cibi proteici. Non è un caso, infatti, che il 1° settembre, Planted, l’azienda nata in Svizzera, ha annunciato la chiusura di un nuovo round di finanziamento del valore di 70 milioni di euro. Non c’era prova migliore per certificare la crescita del fenomeno plant-based a livello globale.

Post-pandemia e scarsità delle materie prime, contesto favorevole per il plant-based.

Anche la pandemia del Covid-19, al di là delle iniziali restrizioni dovute ai lockdown che hanno generato sofferenza per molti settori economici, ha portato, tra gli effetti del “new normal”, una sempre maggiore attenzione verso il benessere animale e la prevenzione contro trattamenti intensivi, che compromettono fortemente la sostenibilità della filiera alimentare e più in generale del benessere del pianeta. Inoltre, la scarsità di risorse di cibo, specie in aree a maggiore crescita demografica, come la Cina, o minore crescita economica, come il continente Africano, impongono, da un lato scelte di consumo più responsabili e dall’altro la ricerca di soluzioni alternative e valide dal punto di vista nutritivo e della sostenibilità. La sfida di garantire l’accesso a un’alimentazione sana a livello globale da parte di sistemi alimentari sostenibili è anche alla base del progetto “Smart Protein” finanziato dall’Ue, con l’obiettivo favorire la ricerca di filiere produttive delle proteine «a prova di futuro», con un impatto positivo su bioeconomia, ambiente, biodiversità, sicurezza alimentare e nutrizionale e fiducia dei consumatori. Il progetto sta convalidando e mettendo alla prova prodotti proteici innovativi, convenienti ed efficienti nell’impiego di risorse di tipo vegetale, derivati da fave, lenticchie, ceci e quinoa.

Oltre un italiano su due consuma plant-based. 

In questo scenario è interessante notare che, per quanto siamo un popolo molto legato alle tradizioni culinarie, oggi oltre la metà degli italiani (il 54%) sceglie di consumare prodotti alimentari plant-based. La consapevolezza che tali prodotti siano più amici dell’ambiente rafforza una scelta di consumo che nasce dalla piacevole scoperta che essi soddisfano egregiamente il bisogno di gusto e di nutrizione. Sfidare il sapore di un corrispondente prodotto a base animale non era e non è affatto banale per le aziende che si sono cimentate nella produzione e commercializzazione di food plant-based.

Chi sono i flexitariani.

L’altro elemento interessante di questa evoluzione nei consumi alimentari è l’emergere del profilo dei flexitariani, che presentano una maggiore apertura nelle scelte di consumo rispetto sia ad onnivori che a vegetariani e vegani. Si tratta di persone che consumano un’ampia varietà di alimenti, ma con un’attenzione rilevante a ridurre i prodotti a base animale, per ragioni legate alla salute, al benessere e all’impatto ambientale. La forza quindi dei prodotti plant-based è proprio quella di saper andare incontro a diversi stili e/o regimi alimentari, attraverso soluzioni in grado di offrire esperienze di gusto e nutritive appaganti, e con un impatto molto ridotto sulle emissioni di Co2. Una nicchia di mercato che si sta guadagnando il suo meritato spazio nel mainstream.

Ettori Capri: "Plant-based più salutare, ma rischia trasformarsi in un boomerang ambientale"

Secondo il parere di Ettore Capri, professore ordinario presso l’Università Cattolica di Piacenza e direttore del Master in Ristorazione Sostenibile, «il trend sull’uso dei prodotti a base vegetale continuerà ad aumentare, grazie a un’offerta crescente della ricerca scientifica su queste proposte alimentari promossa dagli obbiettivi di sostenibilità sulla bioeconomia e di circolarità sanciti dalle norme presenti e future dell’Europa e dell’Italia. Sottoprodotti delle diverse filiere vegetali dai semi di girasole all’uva, dall’olio ai legumi, si stanno testando e saranno a breve in commercio con i relativi valori nutriaceutici e funzionali alla salute umana. Aumentano anche la tipologia di vegetali edibili e si riprende a raccogliere erbe spontanee (vedi il foraging, ndr) e parti delle piante prima considerati scarti (foglie vs. frutto, ndr). Si tratta di una nuova cultura dell’alimentarsi che aiuta la creatività ed il bisogno di mangiare sempre in minori in quantità. Avvicina il consumatore alla natura, attraverso diete leggere e sfiziose che facilmente competono con le diete tradizionali come quella mediterranea, in qualità e quantità. Che siano più sostenibili della dieta mediterranea, carne inclusa, è però da misurare. Sono alimenti che non sfamano la popolazione umana ed in generale, normalizzandoli alle quantità necessarie come porzioni alimentari giornaliere pro-capite, possono avere alti impatti ambientali, talvolta superiori a quelli della carne. Anche per questo vanno variati con ricette tradizionali e soprattutto con educazione alimentare al riguardo».

di Milvia Panico