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Aldo Uva, ceo di CSM Ingedients
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Aldo Uva (CSM Ingredients): "Plant based e diversificazione degli ingredienti sono il futuro del cibo"

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- CSM Ingredients innovazione food - CSM Ingredients ingredienti food&beverage - intervista Aldo Uva

Dai prodotti bakery all'ingredientistica tech-drive, l'evoluzione di CSM Ingredients passa da quella del mercato food&beverage in linea con le richieste dei clienti. Per questo, l'azienda (che dal 2021 è controllata da Investindustrial) ha deciso di dedicarsi al plant based e alla promozione di una maggiore diversificazione degli ingredienti con cui industria e ristorazione realizzano i propri prodotti e piatti. Per riuscirci "abbiamo messo in campo una struttura, anzi una piattaforma, più flessibile e capace di offrire al mercato del food le soluzioni più adeguate e in linea con le esigenze di consumo attuali", afferma Aldo Uva, direttore di CSM Ingredients nell'intervista per Ristorazione Moderna.

Intervista ad Aldo Uva (CSM Ingredients).

In che modo opera la piattaforma di CSM Ingredients?

Attraverso la nostra piattaforma mettiamo in collegamento quelle aziende che possono completare il ciclo produttivo a partire dalla nostra ingredientistica. Ovviamente, questi partner devono essere connotati da un focus molto forte sull’aspetto tecnologico perché se tutti parlano oggi di food-tech, in pochi hanno capito che, di fatto, è un concetto che non esiste. Quello che esiste è l’ingredient-tech: se gli ingredienti non evolvono il food non potrà mai farlo. Il cibo è solo la combinazione degli ingredienti. Sia dal punto di vista taste che nutrition.

In tutto questo, si inserisce l'acquisizione di Hi-Food, sviluppatore italiano di prodotti food innovativi.

Se la nostra azienda si propone sul mercato con un mix di referenze già pronte per la realizzazione di un prodotto finito, come può essere l’impasto del fornaio o la crema del pasticcere, Hi-Food fa un lavoro totalmente diverso concentrandosi su tutti quegli ingredienti funzionali che possono dare un valore aggiunto nutrizionale e operazionale al prodotto finito. La combinazione di queste due specializzazioni è, per noi, la strada verso il futuro del food.

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Dopo un anno di lavoro, avete da poco pubblicato il vostro primo bilancio di sostenibilità. Come si struttura?

Il bilancio di sostenibilità si basa su un concetto chiave: noi come azienda siamo una piccola goccia nel grande mare della sostenibilità, ma non per questo dobbiamo farci scoraggiare. Per troppi anni abbiamo sempre pensato che la sostenibilità fosse qualcosa di altro dalle nostre abitudini di consumo, che qualcun altro dovrebbe far rispettare per noi. Ma ormai non è più così. E sebbene sappiamo che da soli non potremmo cambiare il mondo, step-by-step, un pezzettino alla volta, tutti insieme possiamo fare la differenza. Da qui, la necessità di strutturare il bilancio di sostenibilità su tre pilastri: People, Planent, Product. Nel primo caso, l’approccio è stato semplice: coinvolgiamo le comunità attorno ai nostri centri produttivi, come i residenti di Crema, dove abbiamo il nostro stabilimento italiano. Per quanto riguarda la parte Planet, l’impatto più importante lo può dare il diverso approccio sull’utilizzo di energia e acqua nei cicli produttivi. Infine, relativamente ai Product, stiamo cercando di utilizzare materie prime che sono meno impattanti sulla filiera.

In che modo tutto ciò può influire sul modo in cui produciamo e consumiamo il cibo?

La crisi che stiamo vivendo in questo momento, con una forte inflazione del prezzo delle materie prime nasce, da una carenza strutturale della catena del food: noi utilizziamo sempre le stesse materie prime per fare una miriade di prodotti, solo il 10% di ciò che la natura ci mette a disposizione. La tecnologia deve aiutarci di rimodulare il modo in cui produciamo un croissant.

L'evoluzione più decisa di CSM riguarda i prodotti plant based. Che posto occupano nelle vostre attività?

Il plant based è sicuramente l’evoluzione. Nel prossimo futuro, l’utilizzo di proteine animali è un qualcosa che dovremmo cercare di limitare sia per questioni nutrizionali che ambientali. Certo, il rischio da evitare è che in una fase di transizione si finisca per riproporre modelli già visti, con l’installazione di colture intensive che ridurrebbero ulteriormente la biodiversità. Per questo il nostro mantra è quello della diversificazione. Questa ci ha portati a proporre tre macro-categorie di prodotti plant based: quelli dedicati al bakery, per i prodotti da forno con l’intenzione di sostituire gli ingredienti di origine animale come burro e uova con alimenti naturali, clean label; quelli della categoria diary, introducendo sostitutivi del latte animale senza per questo fare a meno dell’aspetto nutrizionale, ossia calcio, proteine, ecc; infine la categoria meat su cui stiamo lavorando sempre di più. Qui il problema è convincere i consumatori a comprare un prodotto che ha il sapore della carne ma che carne non è. Tutto ciò si deve accoppiare con l’accorciamento della filiera di rifornimento. Perché se dobbiamo sempre di più spostarci verso il plant based, per produrlo non posso importate gli ingredienti dalla Cina né posso esportare tutto negli Usa per un maggiore profitto. In questo caso, la carbon footprint generata renderebbe inutile il nostro sforzo. L’obiettivo è ridurre la distanza dell’integrazione verticale tra farm e fork. Per riuscirci ci vorrà qualche anno, ma noi siamo partiti.

In questo senso, l'eccellenza e la tradizione del patrimonio agroalimentare italiano sono un ostacolo o un vantaggio?

L’Italia ha una cultura culinaria importantissima, è un’eccellenza a livello globale. E proprio in queste qualità sta la difficoltà di realizzare una transizione innovativa. C’è bisogno di una grandissima ricerca. Dal pane al panettone, cominciamo però a vedere nuovi segnali di apertura di quelle che, prima, potevano essere definite delle proprie enclave produttive e di gusto. Faccio un esempio, il pane: oggi il consumo di carboidrati da trasformare in proteine è un tema emergente. Diviene necessario, quindi, che un prodotto come questo, sulle nostre tavole tutti i giorni, si agganciaci a questo trend che è il consumatore a guidare. Stessa cosa per la plant based meat. Più difficile, invece, l’evoluzione di processo su formaggi e uova per cui serve ancora una fase di ricerca tecnologica.

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Che risposta dalla ristorazione?

La ristorazione comincia ad avere una sensibilità sempre più sostenibile e in linea con le richieste del mercato. Questo permette un’integrazione più stretta fra chi produce e chi finalizza il prodotto. Penso, per esempio, alla questione dei cereali: visto tutto quello che ci siamo detti e alcuni progetti che abbiamo già avviato per il recupero dei grani antichi, un rapporto più stretto con l’agricoltura sarebbe auspicabile così da guidare l’innovazione seguendo le indicazioni di chi è sempre in contatto con il cliente come chef, pasticceri o pizzaioli.

       
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