Filiera agroalimentare, sostenibilità, tendenze del food&beverage. Di tutto questo si è parlato durante il 6° Forum sul Food&Beverage organizzato da The European House - Ambrosetti a Bormio (17-18 giugno). Un evento che ga rappresentato un vero "summit del food" per il livello degli studi proposti e la partecipazione di stakeholders di aziende alimentari e insegne distributive, esponenti politici, esperti di marketing, nutrizionisti e sportivi di primo piano. L'occasione giusta per presentare il position paper La roadmap del futuro per il Food&Beverage che ha messo in luce le sei sfide per il rilancio della competitività della filiera agroalimentare italiana.
Le sei sfide della filiera agroalimentare secondo The European House - Ambrosetti.
Durante la prima giornata del Forum, il position paper La roadmap del futuro per il Food&Beverage ha messo nero su biano le sei sfide che attendono la filiera agroalimentare nel breve-medio termine:
- favorire la sburocratizzazione del settore per lo sblocco degli investimenti e lo sfruttamento dei fondi Pnrr,
- sostenere e incentivare, anche fiscalmente, il consolidamento del settore food&beverage per incrementarne la competitività, anche a livello internazionale,
- combattere il fenomeno dell’italian sounding e promuovere le esportazioni delle eccellenze nazionali,
- rafforzare le filiere made in italy per ridurre la dipendenza dall’estero in un’epoca di continui shock esogeni, soprattutro per i settori agricoli con bilancia commerciale negativa,
- accelerare l’adozione di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici,
- implementare politiche di sensibilizzazione ed educazione alimentare nella patria della dieta mediterranea, a partire dalle giovani generazioni.
I numeri della filiera food&beverage italiana
La filiera agroalimentare rappresenta, in Italia, la prima voce per contributo al Pil nazionale con 65 miliari di euro di valore aggiunto, per un fatturato di 204 miliardi di euro (+3,8% dal 2015). Questo anche grazi a un export che, a fine 2021, ha superato la soglia storica dei 50 miliardi di euro (+10,8% rispetto al 2020) e ha permesso alla bilancia commerciale di registrare un surplus pari a 3,3 miliardi di euro. Il vino si è confermato prodotto italiano più venduto all’estero con una market share sull’export pari al 14,3% e un giro di affari di 7,1 miliardi di euro, mentre la Germania permane il principale paese di approdo assorbendo una quota del 22,4% e generando un fatturato di 8,4 miliardi di euro (+6,6%). A livello occupazionale, il settore offre lavoro a 1,4 milioni di persone.
Performance positive ma ancora troppo contenute per assorbire gli shock del mercato.
Tutti numeri che parlano di un comparto florido ma non privo di criticità. Se è vero che il settore è stato quello che, nel 2020, ha mostrato maggiore resilienza nei confronti della pandemia, subendo complessivamente una perdita contenuta del valore aggiunto dell’1,8%; è anche vero che nel 2021 è cresciuto meno degli altri principali comparti e, pur riportando una progressione del 6,2%, è riuscita a fare meglio solo dell’industria farmaceutica (+2,2%). Spostando poi l’attenzione verso l’export, la performance dell’ultimo biennio non si può definire sbalorditiva se analizzata rispetto agli altri settori. Nel 2019-2021 l’incremento del 13,6% colloca l’agroalimentare al terz’ultimo posto nel ranking delle principali filiere italiane. Il Paese è inoltre solo 5° in Unione Europea per valore delle esportazioni alimentari, un valore pari al 65% dell’export tedesco e al 72% di quello francese. La performance del Paese non migliora guardando all’incidenza dell’export agrifood sul totale, pari al 9,7%, metà della quota spagnola e il 70% di quella francese. Se a questo si aggiunge il fatto che le aziende si trovano a operare in uno scenario turbolento (tra inflazione, costi delle materie prime, difficoltà di approvvigionamento, bollette energetiche in aumento, ecc) il rischio è quello di trovarsi nell'occhio del ciclone di una tempesta perfetta.
Inflazione e aumento delle materie prime: le criticità attuali.
L’inflazione non è mai stata i così alta negli ultimi 30 anni. Paragonando aprile di quest’anno a quello del 2021, il prezzo del grano è incrementato senza freni del 230% e quello del mais del 130%. Inevitabili le conseguenze negative per le tasche delle famiglie italiane, il cui paniere della spesa è aumentato del 2,9%. Il conflitto russo-ucraino ha contribuito non poco al fenomeno aggiungendo un problema di reperibilità di alcune materie prime di cui il nostro paese è molto carente con nuovi rischi per alcune filiere agroalimentari chiave del Paese: infatti, l’Ucraina è 1° fornitore di olio di girasole per l’Italia, 1° fornitore di semi e 2° fornitore di mais e elementi nutritivi per le coltivazioni, con pesi sul totale dell’import che vanno dal 15% fino al 63%. La carenza di materie prime agricole è un gap che nel 2021 si è ulteriormente ampliato. Un dato di fatto confermato dai numeri diffusi da The European House - Ambrosetti, secondo i quali, lo scorso anno, l’Italia ha aumentato di un miliardo di euro ulteriore la sua dipendenza da materie prime agricole, raggiungendo un deficit commerciale complessivo di 8,5 miliardi di euro nel 2021. In generale, analizzando l’andamento dal 2010 al 2021, il nostro paese ha lasciato sul terreno oltre 85 miliardi di Pil proprio a causa di questa situazione che lo vede costretto ad acquistare da paesi terzi i prodotti necessari in ambito di produzione agricola. Spicca soprattutto la scarsità di cereali reperibile a livello nazionale, che comporta un deficit della bilancia commerciale di quasi 5 miliardi di euro, ma si bussa alla porta di fornitori stranieri anche per il pesce lavorato (-4,4 mld) e i prodotti ittici (-1,2 mld), la carne lavorata (-3,6) e gli oli e i grassi (-2,7), molti di questi proprio provenienti da Ucraina e Russia.
The European House - Ambrosetti: transizione sostenibile non più rinviabile.
Diventa, quindi, sempre più necessario agire sulla filiera. Da un lato rafforzando della filiera stessa dove il 92,8% delle aziende fattura meno di 10 milioni di euro; dall'altro, la lotta all'Italian Sounding (vera e propria piaga sull'export di qualità Made in Italy). Il tutto seguendo delle logiche di sostenibilità. Come indicato dalla ricerca La (R)evoluzione Sostenibile della filiera agroalimentare italiana, emerge come la filiera debba rispondere alle mutate esigenze dei consumatori, confrontandosi con uno scenario caratterizzato da elementi di criticità che coesistono con lo sviluppo di risposte tecnologicamente innovative. Il maggior rispetto per l’ambiente è un tema molto sentito per il 70% dei cittadini nel 2021 (+22 punti percentuali rispetto al 2015). In Italia le pratiche più richieste sono la riduzione del consumo di plastica (90%) e la transizione a packaging sostenibile (89%). Trasparenza e tracciabilità diventano quindi il mantra.