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Beverage, Roncoroni: "I grossisti di Cda diventano consulenti Horeca"
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Titolo suggestivo, ma idee chiare: la convention autunnale di Cda, associazione di imprese altamente qualificate operanti nel settore della distribuzione di bevande per l'Horeca, dal titolo "Se non noi, chi?" ha messo in luce il nuovo profilo del grossista post-Covid. Dopo un'estate di rilancio e di fronte alle sfide del presente, le oltre 100 aziende associate si sono date appuntamento a Bergamo. "C’è richiesta di prodotti di qualità, sia perché il consumatore ha voglia di maggiore gratificazione sia perché i pubblici esercizi hanno differenziato lofferta. Basta pensare alle acque toniche, che spinte dal gin hanno registrato un vero e proprio boom. Qualità che si apprezza sul mercato: ma fino a quando il consumatore potrà sostenere l'aumento di spesa?", è la fotografia scattata da Lucio Roncoroni, direttore di Cda, intervistato da Ristorazione Moderna.
Chi è Cda.
Prima dell'intervista, abbiamo chiesto a Roncoroni di raccontarci cos'è Cda. Ecco la risposta:
"Il Consorzio, nasce nel 1988. Le circa 100 imprese associate son attive nella distribizone all’ingrosso di bevande. Il 70% del fatturato lo registriamo nel fuoricasa. Nello specifico, il 52% dei clienti sono bar, 30% ristorazine, in tutti i suoi formati, e 20% canale serale con servizi di consegna a locali che hanno attività serale o notturna, dai pub alle discoteche passando per le birrerie. A livello merceologico, il 98% del fatturato è dato dalle bevande, con la birra che pesa il 35%, poi spirits 20% e vini intorno al 16%. Per questo ci definiamo un consorzio prevalentemente alcolico. Non va trascurato il mondo delle acque naturali, che pesano il 10% del fatturato, ma il 55% dei volumi distribuiti. Infine, le altre bibite analcoliche e i succhi di frutta, che sono una percentuale minoritatia. In totale, serviamo 54mila pubblici esercizi."
L'intervista a Lucio Roncoroni
Da sempre connessi con il mondo del fuoricasa, i grossisti beverage di Cda vengono da un'estate positiva. Si è recuperato il gap con il 2019 pre-Pandemia?
Pre-Covid il Consorzio registrava 700 milioni di euro di fatturato. Nel 2020-21, il crollo. Quest’anno, sebbene manchino ancora tre mesi, puntiamo a 740 milioni di euro. Molto dipenderà dal potere di acquisto degli italiani da qui a dicembre. Perché da maggio a settembre è stata una stagione straordinaria. La bella stagione è sempre un momento importante per le vendite beverage, ma l'estate iniziata in anticipo, molto lunga e molto calda ci ha aiutato, così come il ritorno del turismo, sia italiano che estero. Di fatto, noi crsciamo del +53% rispetto al 2021 e del +22% rispetto al 2019.
Il grossista beverage è un profilo in trasformazione, così come inteso dal titolo del convegno. Ma rimane una figura nodale della filiera.
Nei confronti dei produttori, il tema centrale rimane sempre la marca. Noi trattiamo circa 26mila referenze, ma solo 150 sviluppano il 70% del giro d’affari; si tratta delle merceologie dei grandi brand. Nel frattempo, però, c’è un forte dinamismo nel mercato verso nuove referenze, nuovi gusti. Noi ci poniamo al centro di queste due tendenze e colmiamo il gap tra domanda e offerta. Per questo non possiamo far a meno dei loro prodotti e loro non possono far a meno del nostro servizio. In Italia, vengono malcontati 2.200 distributori di bevande ma solo 600 rappresentano circa l'80% fatturato settore. C’è una marea di piccoli distributori al di sotto del milione di euro l’anno che lavorano in territorio circoscritto ma non per questo meno plurale. Dopo la crisi Covid e quella legata all'aumento dei costi, ci sarà una selezione, molte aziende anche storiche non hanno ricambio di gestione, c'è il rischio di non riuscire a rinnovarsi.
Come è cambiato il rapporto con ristoranti, bar e pubblici esercizi?
Oggi abbiamo di fronte un pubblico eservizio che sta vivendo delle evoluzioni importanti. Questo significa che siamo chiamati a rimoduare il nostro servizio: vogliamo diventare consulenti del punto vendita. Dalla formazione ai finanziamenti, dal supporto marketing allo sviluppo di nuove offerte. Ovviamente bisogna essere in grado di farlo.
Le catene del food retail sono un interlocutore per Cda?
Al momento, purtroppo, siamo degli osservatori ancora esterni di questo fenomeno. Ne siamo avvertiti, lo monitoriamo sia come operatori che come consumatori. Ma lo sviluppo a catena in quanto tale privilegia il rapporto con un un unico fornitore, sia per una questione di fatturazione che di scelta compartimentale. Al momento non siamo in grado di fornirla. Lavorando con imprenditori singoli, saremmo costretti a gestire la stessa catea con diversi operatori in base alla localizzazione del punto vendita. Poi è anche vero che Cda è un'assiciazione, poi ognuno rimane indipendente sul mercato. Noi di sicuro di interroghiamo sul come fare.
Una dimensione di servizio.
Fin da quando è nata Cda abbiamo lavorato sui servizi. Non abbiamo mai puntato sulla numerica degli associati, ma sulla qualità. Tanto che ora siamo il Consorzio più grande per fatturato ma fra i più piccoli per numero aziende. La nostra mission è quella di dare alle aziende quello che singolarmente non potrebbero mai fare. Perché il nostro futuro dipende da quello dei singoli imprenditori. Ci sono tematiche e sfide che 15 anni fa erano impensabili e ora sono centrali: comunicazione, formazione, sostenibilità, tecnologie, ecc. Vogliamo attualizzare i nostri servizi sulla modernità che il mercato sta evidenziando, con un occhio sul lungo periodo.
Senza dimenticare la vostra specialità: l'ultimo miglio. Cosa significa per voi?
Competenza e conoscenza del mercato. Noi conosciamo il marciapiede, le strade, le piazze su cui cantine, locali e persone sostano. Questo è un patrimonio che diventa fattore competitivo. Non siamo solo trasportatori. Il nostro scopo è far evolvere il mercato, dare senso ai trend interpretarli per dare stimoli ai grossisti, spesso molto impegnati a lavorare.