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Vincent Mourre: "Nel food retail, gli investitori cercano scalabilità"
Con il titolo More Than Money: How Investors Power Restaurant Growth, lo studio di consulenza WhiteSpace Partners ha pubblicato il suo ultimo report. E allo stesso tempo tracciato una linea verso la crescita del fenomeno delle catene di ristoraizone. Ne abbiamo parlato con Vincent Mourre, ceo e founder della firm europea, oltre 20 annidi esperienza alle spalle nel foodservice, consulente private equity e focus sulla crescita internazionale del gruppo che supporta investitori e brand per far incontrare progetti e liquidità. Temi che affrontiamo anche nella COVER STORY del nostro prossimo trimestrale, online dal 20 dicembre.
Come è stato il mercato M&A del 2024?
Più dinamicità rispetto ai due anni precedenti, che sono stati in gran parte caratterizzati dal recupero post-Covid, in qualche caso problematico. Oggi si è raggiunta una maggiore stabilità. Tanto che anche i fondi private equity tornano a farsi vedere. Da un lato, infatti, si è abbandonato l'atteggiamento di prudenza dopo la crisi, anche grazie all'adattamento a temi come inflazione, potere di spesa, ecc; dall'altro, se nel biennio precedente si lavoravano su numeri praticamente illeggibili, contrassegnati da chiusure, sussidi, ecc. che rendevano di scarsa comprensione la perfomance storica, ora il raffronto può essere fatto sul rimbalzo dei consumi.
Quali sono i driver dell'investimento? A cosa guardano fondi e simili?
Sono due i principali driver per l'investimento. Il primo è la scalabilità che permette a un brand con poteniale di avviare un ampio sviluppo. Un esempio italiano? La Piadineria che è passato da DeA Capital, Permira e ora CVC ancora con un potenziale di raddoppio della rete da sfruttare. L’altro elemento è quello del modello economico: per le catene dovrebbe essere abbastanza prevedibile se il lavoro è fatto bene. Gli investitori stanno cercando profili che abbiano avviato un percorso di crescita, meglio se con 50-100 locali attivi, un numero che sottointende una certa diffusione del brand e una stabilità di performance, vendite e profitto. Da tenere in considerazione ci sono anche la forza differenziante del brand e il tema dell’organizzazione; un team capace di accelerare la crescita attraverso logistica e ottimizzazione dei costi è un plus.
Investimenti pre-seed o early-stage sono difficili da concretizzare, soprattutto in Italia. Come mai?
Questa è la fetta del mercato dove il rischio è più alto dal momento che il track record di una catena risulterebbe troppo breve per aver uno storico consolidato. Per i brand più piccoli lo schema migliore sarebbe avere performance tali da riuscire, con il cashflow, a finanziare crescita. Allo stesso modo, qualcosa che funziona molto bene sono gli investitori private guidati da profili che conoscono bene il settore e accettano il rischio più elevato e una possibilità di ritorno più alta. L’altra soluzione è il crowdfunding; abbastanza efficiente. Per qualcuno che cerca montanti da uno a tre milioni, relativamente contenuti rispetto a investimento di private equity, è uno strumento interessante che diventa più un percorso emozionale che razionale.
La sostenibilità ha fatto la sua irruzione nel dibattito finanziario. Ma quanto vale veramente quando si parla di investimenti?
Sostenibilità noo è driver della decisione di investimento. Detto ciò è un must. Non avere una strategia ESG spinta e tangibile può essere la ragione per cui non si investe. Ma questo dipende molto dalla sensibilità diffusa nei mercati in cui si opera. In Uk, Olanda, Nordics si è particolarmente attenti. Italia e Spagna forse non abbastanza. Francia nel mezzo.
C'è una categoria merceologica più promettente di altre per l'investimento?
Più che una categoria merceologica, come per esempio l’healthy food, caratterizzata da attenzione elevata alla qualità e al valore aggiunto del servizio ma comunque una nicchia, è il modello a fare la differenza. Il QSR rimane il segmento principale e va evolvendosi verso la diffusione del counter service che significa meno dipendenti al lavoro in sala, servizio più rapido, alcune volte locali più contenuti. Coffee shop e bakery possono rientrare di diritto in questo segmento.
Come valuta il mercato italiano del food retail?
Se la prendiamo dal punto di vista immobiliare, la situazione è interessante visto che ci sono centri commeciali di vecchia generazione che ancora non hanno compito il balzo verso il leisure, l’apertura serale, ecc. ma possono aggiornarsi e rilanciare la propria offerta. Dal punto di vista dei brand, invece, sebbene manchi una nutrita spinta verso l'estero, ci sono insegne che ce l'hanno fatta puntando sul Made in Italy come Dispensa Emilia, Alice Pizza e La Piadineria. A questi si aggiunge il caso di Eataly e le parabole di Poke House, che ha preso posizioni all’estero interessanti ma senza esportare qualcosa di partcolarmente italiano, oppure Old Wild West, che ha acquisito quote all’estero con un format internazionale. Ad oggi, se dovessi indicare un vero campione del food retail tricolore direi Venchi.