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Giampaolo Grossi, amministratore delegato dei ristoranti Giacomo Milano
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Giampaolo Grossi (Giacomo Milano): “Catena fine dining? Si può fare”

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- Da Giacomo ristorante Milano - Giacomo Milano bistrot - Giacomo Milano botteghe

È possibile costruire una catena di ristorazione fine dining? “Sì”, per Giampaolo Grossi, amministratore delegato dei ristoranti Giacomo Milano (10 in tutto). Un network che dal giugno 2023 è di proprietà del gruppo Fidim, che fa capo alla famiglia Rovati - entrata in società già nel 2020. Investimento che ha dato la spinta per un consolidamento delle attività prima del balzo verso nuove avventure food retail: “Il primo step su scala nazionale sarà quello di riunificare tutte le botteghe in un unico format: Giacomo Bottega, o Botteghe. L’idea è creare un concept più allegro, accessibile, giovanile, da replicare in città. Allo stesso modo Da Giacomo rimane il punto di partenza che vorremmo portare anche a Roma, Venezia e realtà contraddistinte da un'elevata affluenza. Infine, l’ambizione è l’estero, dove espanderci con modelli di management agreement già testati”, rivela Grossi, che alle spalle ha un’esperienza in Starbucks.

L'intervista a Giampaolo Grossi (Giacomo Milano). 

A due anni dall’acquisizione di Fidim, cosa dicono i conti?

Il 2023 si è chiuso con un fatturato di 17,7 milioni di euro e un Ebidta negativo del 4%. Tuttavia, se prendiamo il previsionale 2024, ci aspettiamo di tornare in positivo dell’1% grazie a performance come quella di settembre con un Ebitda al 19%. Questa è la cifra di quanto fatto in due anni dal brand. Un altro dato: nel 2021 il costo del venduto era intorno al 36-37% oggi in previsione siamo sul 26-27%. Siamo passati dal 43 al 31% di food cost con effetti positivi a livello di margine operativo: tale risultato è frutto dell’introduzione di un sistema di controllo di gestione nato con la creazione di un ufficio corporate che ci ha garantito di passare da una gestione di tipo familiare, che di solito non ha una funzione di controllo affinata, a un modello che dall’1 novembre si affida a un’unica società rispetto alle precedenti due (quella che gestiva i ristoranti e l’altra per le botteghe e il laboratorio di produzione, ndr).

Una trasformazione per uno dei brand storici della ristorazione milanese.

Giacomo nasce nel 1958 dal fondatore Giacomo Bulleri come pizzeria. Nell’89 si sposta in via Sottocorno dove apre lo storico locale Da Giacomo. Da lì si arriva ai primi anni 2000 dove pian piano il signor Giacomo consegna la realtà realtà alle figlie e ai rispetti mariti, iniziando così la prima espansione del brand. Oggi conserviamo la cultura e la tradizione delle origini, la semplicità della trattoria meneghina coniugata con la gestione in termini di catena di ristoranti.

da giacomo

Il punto fermo rimane la cucina. Che equilibrio c’è fra creatività e standardizzazione?

Uno dei nostri piatti più venduti è il tortello cacio e pepe, lime e bottarga. Se apro a Roma so che dovrei modificare un po’ la ricetta per andare incontro alla sensibilità dei locali. La standardizzazione è eccellente al 90% del prodotto. Bisogna lasciare un 10% di creatività. Detto ciò, la forza di Giacomo è la cucina italiana semplice e di qualità. La differenza la fa la ricerca della materia prima, tracciabile e sostenibile. Nei nostri menu, sia carne sia pesce, l’importante è la naturalità del piatto, il gusto del prodotto. Per realizzarli contiamo su fornitori di lunga data, che sposano i nostri valori, anche sul campo.

A livello di forniture, presto Da Giacomo potrebbe autosostenersi. Come sta evolvendo il progetto Tuetera?

Si tratta di una tenuta della famiglia Rovati, tra Monza e Como. Qui è nata un’azienda che sta costruendo una filiera integrata per sostenere i punti vendita con pomodori, cipolle, insalate, melanzane, ecc. L’idea è quella di integrare questa attività con l’esperienza gastronomica di Da Giacomo e creare nuovi format, magari destinati a un pubblico più giovane che poco è abituato a sedersi in torno a un tavolo ma rimane curioso sull’origine dei prodotti.

Con queste basi, quindi, è possibile costruire una catena fine dining?

Credo di sì. L’importante è abbracciare una gestione che ti garantisca la scalabilità e la riproduzione del brand. Un modello aziendale in cui food cost, costo del lavoro, revenues, ammortamenti, ecc. sono elementi essenziali da considerare. Così come lo è l’aggiornamento digitale, che oggi gioca un ruolo essenziale nelle operazioni di prenotazione e profilazione del cliente, così come di gestione dell’inventario e delle scorte sul punto vendita. Poi se c’è da tirare fuori carte e penna per fare il conto, le abbiamo nel taschino.

di Nicola Grolla

       
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