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Guido Mori, fondatore dell'Università della Cucina Italiana
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Guido Mori: “Cucinare bene significa stare dentro a un costo”

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Il fondatore dell'Università della Cucina Italiana Guido Mori vanta un nutrito seguito social, dove scoperchia i non detti della ristorazione e del food. Tanto da dire con tono caustico e sincero che "le stelle Michelin non sono un riferimento". Insomma, Mori ci mette la faccia; e su Instagram raggiunge 130mila follower. Nella vita reale infatti è anche professore, imprenditore e consulente, membro della Fic e gastronomo. Con una laurea in chimica in tasca prima di decidere di dedicarsi alla cucina. Esperienze utili per consigli e recensioni online (come la rubrica "Cucinare con rancore") oppure per i suoi interventi su Radio Cusano Campus (frequenze su cui ha coniato il neologismo "vegarne"). Ultimo argomento di dibattito? Il panettone: "C'è un disciplinare e in questo non rientra l’utilizzo di una quantità enorme di crema: quello al massimo è un lievitato morbido farcito", spiega Mori ai microfoni di RM

L'intervista a Guido Mori. 

Quindi, spazio al panettone artigianale?

A patto che sia artigianale per davvero. Non c’è niente di male a farli non artigianali, ma va dichiarato piuttosto che far passare come plus una lievitazione di 72 ore che rientra nel disciplinare. Il panettone è una ricetta in cui non ci si improvvisa, bisogna essere formati, avere un laboratorio dedicato e farli in modo continuativo. Anche la corsa dei piccoli artigiani a mettere la firma sulla limited edition non mi convince. Alcuni prodotti son fatti male davvero. Come quelli vegani. Anche questo, non può essere chiamato panettone se non ha burro e uova. Per non parlare della deriva fit, a favore dell’alimentazione iperproteica, che per fortuna è un po’ scemato. Così come i fenomeni food porn. Per non sbagliare, meglio puntare su quattro categorie: panettone classico alla milanese, panettone al caffè, panettone al cioccolato e panettone innovativo. Sta a noi acquirenti fare la scelta. Per esempio, dal Sud Italia arrivano diverse proposte interessanti per un dolce che è sempre stato considerato settentrionale.

Qualche settimana fa è stato anche il momento delle Stelle Michelin. Che valore hanno oggi?

Non le ritengo dei riferimenti per la cucina. Alla base, ci sono due enormi problemi. Il primo è che le stelle vengono appuntate da un’azienda privata che prende finanziamenti dalle realtà produttive della filiera presenti nei ristoranti. Se chi ti paga è anche chi devi valutare, beh, si perde un po’ il senso. In secondo luogo, non esiste una struttura dichiarata delle valutazioni. Certo, si sa che il riconoscimento arriva per la cucina, il servizio, la cantina,
ecc. ma non come questi criteri vengano soppesati. A questo, poi, si collega la questione della giuria: oltre al giornalista ci vorrebbe un team multidisciplinare.

Nemmeno il criterio “economico” sembra considerato. Eppure è ormai determinante tanto quanto il gusto per il buon esito di un’attività. Anche stellata.

A patto di fare le cose fatte bene. Ad oggi, molti ristoranti stanno in piedi pagando 4-5 figure come lo chef e i capipartita la metà di quello che dovrebbero essere pagate e fatte lavorare anche turni di 12 ore. Gli altri? Stagisti. Magari pagati in nero. E poi magari si chiede 50 euro per un piatto. Cucinare bene significa innanzitutto stare dentro a un costo. In generale, c’è ancora scarsissima conoscenza economica all’interno del settore. Si pensa sempre che il buon andamento di un locale sia una questione di sorte o di cuore, volontà. Ma solo chi fai i calcoli sta in piedi.

Pensa che il fenomeno delle catene di ristorazione possa essere una risposta a questa mancanza di imprenditorialità?

Le catene godono di un grado di organizzazione che gli permette di servire grandi quantità di prodotto ammortizzando i costi sui vari punti vendita spesso grazie all’introduzione di un laboratorio centralizzato. Una mossa che genera una crescita interessante se si utilizzano queste capacità per realizzare un buon prodotto e tenere sotto controllo di costi di approvvigionamento e fidelizzare il fornitore. Anche il fine dining potrebbe giovarne riscoprendo l’idea del bistrot all’italiana. Penso sia una scommessa interessante, rivolta a un pubblico giovane che una cena fuori a 55 euro a persona può permettersela.

La cucina italiana, candidata a Patrimonio Unesco, rimane comunque la base. Da cosa è caratterizzata?

La cucina italiana è un insieme di tecniche, che per la prima volta ha raccolto Gualtiero Marchesi, utilizzate per cucinare al meglio un alimento. Una ricetta, quindi, cambia in base alla sua tecnica. Un esempio? La carbonara nel quartiere ebraico di Roma con il prosciutto d’oca al posto del guanciale è ancora una carbonara. Poi ovvio la cucina italiana è diversa e più potente perché è come la nostra cultura: multietnica, pronta a imparare, aperta a
qualsiasi interferenza e all’internazionalizzazione. Come la Pasta all’Alfredo.

In quanto docente, che giudizio dà delle nuove leve di sala e cucina? Perché si continua a parlare di scarsità di manodopera?

Quando ho iniziato io a lavorare in cucina devo ammettere che mi son fatto trattare come uno schiavo. Quindi sposo le rivendicazioni delle giovani leve della ristorazione. Da parte mia, quando faccio un colloquio, cerco sempre di partire dalle basi: stipendio, ore e ferie. Poi si parla del contenuto del lavoro. D’altronde nessuno va a lavorare per l’onore ma per necessità. Aggiungo la questione degli annunci di lavoro. Molti locali non trovano personale semplicemente perché hanno comunicato male, con errori o omissioni oppure veicolati nelle piattaforme sbagliate. Dal punto di vista gastronomico, invece, come formatore mi stupisco sempre dell’incontro fra
i giovani e la materia prima.

Nel frattempo, però, questa materia prima è in forte cambiamento. Dal free from al flexitarianesimo, siamo di fronte a rischi o opportunità per il nostro patrimonio enogastronomico?

Tutto ciò che è novità fa parte della cucina italiana. Siamo continuamente in evoluzione. Tanto che finiamo con il chiamare “tradizione” una cosa che magari è nata solo 10 anni prima. Le influenze dell’ultimo periodo si sposano bene con la cucina italiana. Basti pensare a tutta la sua offerta vegetale, con proteine nobili, il rispetto dei cicli di cottura, ecc. Dopo un periodo in cui le nostre abitudini si erano sbilanciate su grassi e proteine c’è un rinnovamento delle tecniche italiane che reinterpretano i bisogni di oggi.

di Nicola Grolla

L'articolo è tratto da RMM 4/2024, disponibile a questo link: https://ristorazionemoderna.it/magazine/ristorazione-moderna-magazine-4-2024.html

       
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