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Aigrim: ristorazione nei centri commerciali sì, ma a quali condizioni?
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Quale futuro c'è per la ristorazione nei centri commerciali? Questa la domanda che si è posta Aigrim (Associazione delle imprese di grande ristorazione e servizi multilocalizzate) che ha riunito circa 300 partecipanti per un forum dedicato al tema del fuoricasa negli shopping center. Il convegno intitolato "Ristorazione e centri commerciali - Ritorno al futuro?" ha promosso un dibattito fra tenant e landlord alla luce dei dati di mercato: se la ristorazione cresce, nei centri commerciali rallenta con un calo da gennaio ad agosto 2022 del 4,5% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Aigrim unisce ristorazione e centri commerciali.
Come ha affermato il presidente Aigrim Cristian Biasoni, "per la prima volta in Italia è necessario confrontarsi sulle necessità e le linee guida strategiche per lo sviluppo futuro del settore". Cinque in particolare i punti nodali:
- Reinventare e rilanciare il formato dei centri commerciali: attraverso investimenti strutturali in marketing e comunicazione, soprattutto per le location di fascia medio-bassa che soffronto un calo di attrattività.
- Contrastare l'aumento dei costi: inflazione e prezzi energetici alle stelle devono essere contrastati con azioni concrete come, per esempio, la differenziazione degli orari di attività della ristorazione.
- Allineare gli interessi dei player: tenant e landlord devono partecipare allo sviluppo del centro commerciale sposando una visione comune.
- Gestire il tema affitti: i canoni di locazione rappresentano un costo fisso per i tenat che preferirebbero un approccio legato al flusso di visitatori (come già succede, per esempio, nel canale travel retail).
- Ripartire le spese comuni: viste le mutate condizioni del mercato e le priorità gestionali, vanno riviste le spese comuni come le manutenzioni straordinarie.
A sostenere il dibattito, le evidenze di una ricerca Deloitte (qui l'articolo dedicato).
Parola ai brand del food retail.
Punto centrale del convegno Aigrim, la tavola rotonda con i brand del food retail dal titolo "Centro commerciali, a quali condizioni oggi?". Di seguito la sintesi degli interventi:
Andrea Alboresi, head of business development di Roadhouse: "Per quanto riguarda i brand di Roadhouse Spa, la scelta è sempre stata quella di operare in modalità multi brand con insegne che possono affrontare con successo lo sviluppo in piccoli e medi centri commerciali. Su questo, per esempio, ci ha molto aiutato il lancio del format Billy Tacos con cui abbiamo deciso di scendere di metratura, puntare maggiormente sul segmento fast e sposare le caratteristiche delle location. Nel tempo ci siamo sempre più concentrati sull'analisi dell'adattabilità della nostra proposta al mercato locale per scegliere il concept ideale a seconda della destinazione.
Claudio Baitelli, ceo Alice Pizza: "Siamo presenti con una settantina di punti vendita nei centri commerciali, con una metratura da 50 a 100 mq. Oggi la sfida è quella delle condizioni con cui si remunera un investimento. Con il cambio delle abitudini di consumo, sebbene siamo riusciti a intercettare qualche trend non siamo ancora riusciti a capire la portata. Sarebbe necessaria una evoluzione, ma non aiuta che i brand siano ancora ammaccati dall'impatto della pandemia e ora dall'aumento di costi e dal peso dell'inflazione; che rende più costoso anche l'accesso al denaro, ai finanziamenti. Questo aspetto potrà sistemarsi sul lungo periodo, con la rirpesa del fuoricasa. Ma nel breve persiste una visione del rapporto tenant-landlord legata alle metriche pre-Covid. Se si avesse accesso a ulteriori dati, come quello sugli accessi, per esempio la trattativa potrebbe essere portata avanti in modo diverso. Senza alibi sulle performance.
Dario Baroni, managing director di McDonald's Italia: "Il 2022 per McDonald's nei centri commerciali è positivo. Il recupero post-pandemia c'è stato, ma con una riduzione della quota di fatturato del -25% il canale è in rallentamento e per noi pesa solo il 2% della nostra presenza food retail. La footfall in diminuzione ci preoccupa molto. Il problema non si avverte tanto nelle destinazioni top, ma in quelle di media-bassa fascia. Invertire la rotta si può, magari puntando sulla flessibilità delle superifici minori".
Corrado Cagnola, ceo Kfc: " Al momento il footfall urbano batte quello dei centri commerciali. In questo canale siamo presenti con 23 punti vendita. Ma la strategia è in via di ridefinizione. Il problema rimane la garanzia sul flusso di clientela a fronte di spese e investimenti realizzati per portare i clienti al centro commerciale. Bisogna rivedere le responsabilità fra tenant e landlord, sapendo che non basta l'attivazione di servizi ancillari per recuperare il gap. Un esempio? L'indicizzazione dei canoni rispetto all'inflazione rischia di generare un aumento di spesa senza spiegazioni - non è che nel frattempo il negozio si è spostato in piazza Duomo".
Luca Pizzighella, general manager Signorvino: " Fin dall'avvio delle attività del brand, ci siamo chiesti se avesse senso la nostra presenza nei centri commerciali. Subito ci siamo resi conto che erano loro ad avere bisogno di noi. Oggi il 30% dei punti vendita si trova in queste destinazioni. E in futuro ne apriremo altri tre. Tuttavia, riconosco che serve maggiore confronto fra le parti. Con i costi in aumento è arrivato il momento di riparlare di strategie di sviluppo: come gestire la food court? In quali orari ho maggiori picchi? Come fidelizzo il cliente? Oltre all'apertura, insomma, c'è di più".
Andrea Valota, ceo La Piadineria: "La metà dei 300 ristoranti La Piadineria si trova nei centri commerciali. La differenza rispetto alla nostra presenza nell'high street si vede sia in termini di turnover che di operation. Ma crediamo comunque in questo canale. Certo, abbiamo affinato i nostri modelli di investimento. Ora contano molto i parametri finanziari, la rivitalizzazione o riqualificazione futura del centro, la flessibilità degli orari e l'approccio del gestore".