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François Charpy, fondatore di Food Strategy&Performance
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François Charpy: "Il food retail europeo è una questione glocal"

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- François Charpy Food Strategy & Performance - Food retail Italia - Food retail Europa

"Chi pensa che il mercato food retail europeo sia dominato da player stranieri si sbaglia". A dirlo è François Charpy, fondatore di Food Strategy & Performance. Una convizione supportata dai dati e, soprattutto, da un'esperienza lunga 35 anni nel settore della ristorazione commerciale e del foodservice. Dai primi passi in Unilever e Heineken alla direzione delle attività di Quick ricoprendo diversi ruoli ("un percorso che mi ha dato tanto sia a livello professionale sia a livello umano"), Charpy ha condiviso su LinkedIn, e ai microfoni di RM, diverse infografiche che hanno evidenziato le specificità dei 5 Top mercati europei; Italia compresa dove "non è la pizza o l'hamburger a dominare, ma la gelateria". 

L'intervista a François Charpy (Food Strategy & Performance).

Di cosa si occupa Food Strategy & Performance?

Avviata a febbraio 2021, Food Strategy & Performance è un'agenzia specializzata nella crescita food retail. I clienti che seguiamo sono investitori, fornitori e distributori foodservice, franchisor e operatori del fuoricasa. In particolare, sono due le aree di attività: come aumentare le vendite e il network dei punti vendita e come efficientare le operazioni e potenziare gli aspetti finanziari di un’insegna food retail.

Dal suo osservatorio, come valuta il mercato europeo del food retail? 

Nel suo complesso, sulla scena QSR europea sono presenti tutti i grandi top player food retail: McDonald’s conta oltre 10mila punti vendita, Burger King ne ha circa 5.000, Domino’s gestisce una rete di quasi 4.000 locali, KFC e Subway contano 3.500 negozi entrambi e Starbucks si attesta intorno ai 3.000. Ma questa è solo la panoramica, la superficie. Se si guarda ai Top 5 mercati europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Spagna, ndr) non esiste un solo mercato europeo dominato, come vuole la vulgata, dai grandi player americani. Anzi, abitudini di consumo, regolamentazioni e livelli di competizione sono così diversi da lasciare spazio all'emergere di specificità locali, forse meno conosciute a livello generale, ma capaci di tenere il passo dei colossi internazionali. Per capirlo, basta qualche dato: nei cinque maggiori mercati europei ci sono più di 120 brand locali che contano oltre 50 punti vendita, rappresentano il 75% di tutti i brand QSR e all’incirca il 50% di tutti i punti vendita attivi. Non solo, ma se si guarda l'Europea dalla prospettiva Usa, si scopre che il 60% dei Top 30 brand del QSR non è presente in Europa oppure è presente in modo marginale.  

Ci può raccontare qualche differenza a seconda del mercato di riferimento?

Iniziamo con il dire che le insegne dedicate ai burger rappresentano meno di 1/3 dei punti vendita totali nei cinque principali mercati europei a eccezione della Gran Bretagna, dove coprono il 12% del totale food retail. Ovviamente il leader continentale è McDonald’s. Ma non in Spagna dove a dominare è Burger King, con oltre mille locali contro meno di 600. Poi c’è la categoria bakery e sandwich, segmenti numero uno in Francia e Germania grazie all'attivismo di diversi brand locali. In Francia, per esempio, se è vero che il maggior network è quello di McDonald’s con 1.500 punti vendita, il secondo è Marie Blachère: una catena di pasticcerie-panetterie con 800 locali. Passiamo alle caffetterie. Tutti abbiamo in mente un mercato dominato da Starbucks ma non è così. Innanzitutto, i coffee shop rappresentano meno del 10% dei punti vendita nei mercati considerati, eccetto che in Gran Bretagna dove, oltre all’insegne della sirena, ci sono due colossi come Costa Coffee e Caffè Nero: insieme questi tre fanno il 20% dei punti vendita totali del segmento considerato. L’ultima grande merceologia è quella del pollo, che copre circa il 5% del totale dei negozi. Il campion è sicuramente KFC, ma altri player lo stanno insidiando a partire da Popeye per arrivare a Chick-Fil-A che sbarcherà in UK il prossimo anno e Oltreoceano registra performance incredibili: 8 milioni di dollari di vendite per punto vendita. E sono chiusi la domenica. 

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Che ci può dire dell'Italia? Quali sono le specificità del nostro mercato?

Per prima cosa: quando si considerano i brand QSR in Italia si deve abbassare la taglia media e passare da 50 a 30 punti vendita per avere un dato sensibile. E questa, di per sé, è già un’unicità rispetto agli altri mercati europei finora considerati. Se poi calcoliamo la densità di punti vendita food retail di insegne con più di 30 locali attivi per milione di abitanti, in Italia il risultato è 62. In Gran Bretagna è 264. Possiamo quindi dire che il vostro Paese è ancora dominato da una ristorazione indipendente. Mentre per quanto riguarda il QSR, secondo le mie rilevazioni, ci sono molti brand nazionali protagonisti: su circa 22 catene con oltre 30 punti vendita, solo 4 sono internazionali. A livello di merceologie, inoltre, il QSR italiano non è tanto un affare di hamburger e pizzerie, ma di gelaterie con Crema&Cioccolato che la fa da padrona con 750 punti vendita. E poi c’è la variabile della piadina che con quasi una sola insegna supera le catene di pizzeria più prominenti. Infine, sottolineo il caso del poke che è un unicum a livello europeo con oltre 200 punti vendita attivi.

 QSR Italy

Il QSR è ormai il format standard per la ristorazione commerciale. Dove si gioca quindi la competizione?

Sul brand e sul concept. Quali sono i valori, i contenuti, lo storytelling, il prodotto, la strategia di sviluppo che sorreggono un’insegna? Il formato non è l’unico aspetto determinante. Detto ciò, vanno sottolineate due cose. La prima è che la differenza fra QSR e format tradizionali con servizio al tavolo si sta sempre più assottigliando. La seconda è che il QSR è capace di adattarsi a diverse situazioni come la location, l'’esempio in questo senso è il brand coreano Bonchon capace di svilupparsi in diversi formati senza per questo snaturarsi ma utilizzando ogni punto di vendita per aumentare la propria riconoscibilità, e l'attuale situazione economica che si trovano a vivere i consumatori. In generale, comunque, la chiave del successo per un'insegna rimane sempre la stessa: il rapporto fra quantità, qualità e prezzo. 

Se il format è assodato, quali sono le merceologie che ancora potrebbero nascondere del valore inespresso?

Il cibo Halal deve ancora trovare un suo campione a livello europeo. Poi vedo spazio per la cucina etnica asiatica i cui grandi player si possono contare sulle dita di una mano. Stessa cosa per il kebab che forse, insieme al tex-mex, ha i maggiori margini di successo: è uno degli street food per antonomasia, è facile da realizzare, adatto sia al consumo in loco che in take away, può essere ampiamente premiumizzato a livello di qualità degli ingredienti, i locali che lo offrono generalmente hanno bisogno di pochi capex, ecc. 

Qual è, invece, la sfida più grande per le insegne oggi? 

La profittabilità è il tema cruciale oggi per la sostenibilità di ogni azienda. Per due motivi: da un lato, tutte le voci di costo, dalla materia prima al lavoro, aumentano; dall’altro, l’inflazione che erode potere d’acquisto fa sì che non si possa risolvere tutto semplicemente aumentando i prezzi a menu. Che comunque, nel QSR, a livello europeo, sono già aumentati del 10% nel corso dell’ultimo anno. E gli effetti si stanno già vedendo: meno persone che decidono di uscire, chi esce lo fa con minore frequenza rispetto a prima, transazioni più contenute anche a livello di volume di item acquistati come antipasti, bevande alcoliche, contorni e una maggiore pressione promozionale che non fa bene all’intero business. Bisogna ricreare l’esperienza del fuoricasa puntando sulla semplicità, a partire dal menu, passando dalla riduzione dei canali di vendita e prioritizzando l’esperienza in store. Magari da misurare con KPI aggiornati e basati su dati certi, accurati.

di Nicola Grolla

       
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