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Giovanni Porcu (Doppio Malto): "Ecco i 3 fondamentali del franchising"
Con 42 locali in Italia e all'estero, di cui 19 in franchising, pensare che questo sia il debutto di Doppio Malto al Salone di Milano sembra strano. Eppure è così: "Debuttiamo in grande stile perché finalmente pensiamo di essere pronti, di aver messo a punto il nostro modello in affiliazione che abbiamo iniziato a sviluppare nel 2017", racconta Giovanni Porcu, ceo del brand nato a Erba (CO) nel 2004 ed evolutosi da produttore di birra a catena food retail. L'obiettivo dichiarato, dopo lo spostamento della produzione brassicola a Iglesias (Sardegna) è chiaro: conquistare i consumi fuoricasa con un piano di 10 nuove aperture nei prossimi tre anni per un investimento di 15 milioni all'anno. Compresi quelli per lo sviluppo dei punti vendita franchising.
Intervista a Giovanni Porcu (Doppio Malto).
Nel 2017 il primo franchising a Verona. Ora il debutto al Salone. Che obiettivi?
Vogliamo porci comeplayer nazionale per gli imprenditori che vogliono investire nella ristorazione. Dopo aver costruito una rete di oltre 40 locali, possiamo dire di aver messo a punto la giusta formula per la replicabilità del format Doppio Malto. Dalle operations al cruscotto IT, dalla supply chain al supporto all'imprenditore che avvia il punto vendita sia a livello di formazione che di gestione bisogna strutturarsi in un determinato modo. Da utlimo, abbiamo internalizzato anche il servizio di construction. Insomma, siamo rodati.
Qual è la caratteristica della vostra proposta in franchising?
La carta vincente di Doppio Malto è quella di poter contare su un format innovativo, focalizzato sull’esperienza del cliente. La promessa, d'altronde, è quella di "un posto felice". Lo facciamo con una proposta di birra artigianale che produciamo noi affiancata a un menu food di livello medio alto. Un'accoppiata che si fonde con il mood dei locali, le cui ultime aperture hanno confermato la versatilità e l'appeal verso la clientela giovane. A fronte di ciò, chiediemo ai nostro partner royalties variabili in base alle fasce di fatturato sviluppato che, comunque, rientrano nell'intervallo del 4-6%; oltre a un 1% dedicato direttamente a supportare le azioni di marketing.
Franchisor e franchisee, lei è stato entrambe. Come interpretare al meglio questi ruoli?
Direi che bisogna tenere a mente un fondamentale chiaro: franchisor e franchisee fanno cose diverse ma allo stesso modo. Detto diversamente, se il primo è chiamato a sviluppare la strategia di sviluppo e il secondo a mettere a terra le operations, entrambi dovrebbero perseguire i propri obiettivi con gli stessi valori. Tre quelli fondamentali: intelligenza emotiva, perché siamo pur sempre nel ramo dell'accoglienza; leadership, per guidare i propri team; umiltà, che spesso significa anche fiducia.
Anche in Italia lo sviluppo del franchising passa dagli operatori multi brand e multi categoria. Che ne pensa?
Sebbene sia una figura ancora poco diffusa nel mercato nazionale, penso sia l'evoluzione naturale del settore. Se vogliamo raggiungere la penetrazione delle catene di ristorazione di altri mercati, che si aggirano intorno al 30% rispetto al nostro 10%, bisogna poter contare su partner strutturati. L'importante, secondo me, è specializzarsi per raggiungere un ulteriore grado di affidabilità. Contestualmente, anche un fenomeno di concentrazione e quindi ingrandimenti della taglia di alcuni player potrebbe essere utile al mercato.
A llivello di operations, quali sono le sfide per una catena in franchising?
Sicuramente la logistica. Per questo noi ci siamo affidati ad Avi Logistics che ci ha messo a disposizione una piattaforma molto intuitiva da cui ogni punto vendita può ordinare fino a 270 articoli. Birre comprese. La merce viene poi consegnata due volte la settimana. In cucina, poi, il tema è quello della funzionalità dei prodotti. Per questo noi abbiamo puntato sui semilavorati che produciamo nel nostro laboratorio centralizzato, facendo risparmiare tempo e fatica agli operatori sul punto vendita. Infine, la digitalizzazione, soprattutto frontend. Su questo ci stiamo attivando per introdurre il pagamento elettronico al tavolo e incrementare i programmi loyalty e le prenotazioni. L'importante è che tali soluzioni non siano fini a se stesse. Il rischio è pensare alla ristorazione commerciale come un azienda IT piuttosto che un luogo di somministrazione e accoglienza.
Come vede il fuoricasa post-Covid?
Penso che per insegne come la nostra present qui al Salone la ripresa sia coincisa con l'aumento di domanda della tipologia di servizio offerta. Dopo il caffè, la birra è la seconda occasione per cui ci si riunisce o ci si incontra fuoricasa. E il nostro concept gira proprio intorno a questo: unire le persone. Ovviamente mantenendo la promessa di un'offerta di qualità, elemento imprescindibile per essere credibili e competitivi nel mercato attuale.