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Federico Veronesi: "Con Oniwines pronti a cambiare il mondo del vino"
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Il debutto a Vinitaly ha rappresentato il trampolino di lancio per Oniwines, la divisione del Gruppo Oniverse che riunisce ormai diverse cantine italiane. Dopo una serie di acquisizioni iniziate dalla famiglia Veronesi nel 2015 con Tenimenti Leone nel Lazio e impreziosite dall’ultima arrivata Villa Bucci (Marche) nel 2024, la società ha scelto il palcoscenico veronese per presentare le sue strategie; un filiera completa (che comprende anche La Giuva, Veneto e Podere Guardia Grande, Sardegna), dopo il lancio, nel 2012, del format di enoteca con cucina targato Signorvino. "Abbiamo un modo unico di fare le cose - racconta Federico Veronesi, figlio più giovane del patron Sandro e amministratore di Oniwines a RM - Dal prodotto alla comunicazione vogliamo portare il nostro stile in un settore che, sebbene stia vivendo un momento di appannamento, esiste dall’alba dei tempi e il cui futuro è positivo a patto di saper interrogarsi sulle logiche che favoriscono la filiera".
L'intervista a Federico Veronesi (Oniwines).
Da dove nasce la sua passione per il vino? E quella di famiglia?
Intorno ai 16 anni comincia a nascere in me un interesse verso il mondo del vino, frutto della mia passione per la cucina che avevo fin da bambino. Tanto che all’epoca avevo anche considerato di frequentare l’istituto alberghiero. Crescendo, ho portato avanti questa passione, frequentando in modo indipendente il corso da sommelier in parallelo alla crescita imprenditoriale nel food retail; culminata con la nascita di Signorvino. Per me e la mia famiglia, così come per molte altre in Italia, il vino è sempre stato uno degli elementi culturali della nostra tavola, del nostro modo di star bene e di divertirci. Da qui l’idea e l’opportunità di poter valorizzare questi aspetti all’interno di una strategia che legasse l’Italian life style, il piacere del bello, con il business e gli investimenti.
Come è stato il primo Vinitaly con Oniwines?
Siamo una realtà nuova e abbiamo riscosso tanta curiosità. Per Signorvino, penso che mai come quest’anno abbiamo stappato così tante bottiglie.
Oniwines è il risultato di un processo di acquisizioni e aggregazioni. Da dove nasce questo approccio e qual è l’obiettivo?
Oniwines nasce quasi per caso, nel 2017, dall’idea di raggruppare le cantine di proprietà e dalla convinzione che mancasse nel mondo produttivo una realtà simile, che potesse far tesoro della relazione con il pubblico sviluppata da Signorvino valorizzando il prodotto nel modo corretto: dalla vigna al calice. Se ampliamo lo sguardo, infatti, l’Italia è da sempre un grande Paese esportatore per volume, ma non per valore medio. E su questo c’è ampio margine di miglioramento. A patto di saper organizzare e rendere più efficiente il business. Ad oggi sono ancora decine di migliaia i singoli produttori in Italia. Spesso troppo piccoli per dimensione da avere la forza di comunicare e conquistare nuovi mercati. Lo stesso si può dire delle realtà che aggreghiamo noi, tutte accomunate da un Dna unico, profondamente legato al territorio che si esalta all’interno di un modello di business verticale.
Altre acquisizioni in vista?
A settembre annunceremo un’operazione nella zona del Trentodoc, sopra i mille metri di altitudine e a breve un’acquisizione in Piemonte che porterà le cantine di Oniwines a quota 6. L’obiettivo è superare l’attuale giro d’affari che viaggia sui 5 milioni di euro per un totale di un milione di bottiglie prodotte.
A medio termine, non vi preoccupano gli effetti dei dazi?
Considerando i nostri volumi totali, il mercato dove vogliamo essere più presenti è l’Italia. Questo non significa abbandonare gli Usa, ma non farsi nemmeno preoccupare troppo; soprattutto visto il personaggio (Trump, ndr) che fa, disfa, rilancia e torna indietro. Alla fine, sentendo anche gli operatori americani, la soluzione dovrebbe attestarsi intorno a dazi del 10% per il vino italiano. Sostenibili.
Diverse, invece, le considerazioni sulle abitudini di consumo che cambiano. Cosa cercano i wine lovers?
Se è vero che il consumo di vino e alcol sta calando nel mondo, questa tendenza assume diversi aspetti a seconda dei contesti considerati. In Occidente, Italia compresa, si osserva che la maggior parte della popolazione che può bere, beve almeno una volta al mese del vino. Il tema vero riguarda il consumo dei giovani della Gen Z. Differentemente dai Millennial che li hanno preceduti, e per cui il consumo di vino è passato dal bicchiere di vino a pasto come facevano i loro genitori alla bottiglia nel weekend, i ventenni di oggi viaggiano un po’ alla larga. Colpa di un modo un po’ elitario di raccontare il prodotto ma anche di una forte campagna mediatica che ne ha messo nel mirino il consumo, come se non esistesse possibilità di moderazione. Aspetti che premiano più la qualità che la quantità e che abilitano momenti di approfondimento e conoscenza capaci di unire gusto, tradizione, provenienza, curiosità per i metodi produttivi, ecc e per cui la gente è disposta a spendere un euro in più. Bisogna riportarli al centro dell’esperienza vino, insieme a un’enfasi sul benessere mentale.
Qual è la chiave per riuscirci?
Secondo me serve un linguaggio senza troppi fronzoli. Se vado in un’enoteca o in un ristorante vorrei che il sommelier mi parlasse in modo amichevole, cordiale, includente. Tanti giovani imprenditori lo hanno capito e messo in pratica con l’obiettivo di raccontare il vino in modo godurioso, senza banalizzare ma destrutturando un heritage per cui se non si è esperti di una particolare nicchia non si può apprezzare fino in fondo quello che si beve. Insomma, meno preconcetti e pregiudizi, più spunti.
Il food pairing può aiutare?
È molto gettonato all’estero, soprattutto in Giappone e Usa dove sono molto attenti a cosa abbinare al vino. Secondo me, al di là di un po’ di buon senso, per cui non abbinerà mai dell’Amarone con una cruditè, poi sta al gusto personale. La degustazione deve essere un momento di relax, senza forzature. Al massimo si può aiutare il cliente a trovare ciò che gli piace di più nella nostra offerta, ma senza diventare tecnici altrimenti si manda in confusione il consumatore.
L’aperitivo, quindi, che ruolo gioca per il vino nel fuoricasa?
Rimane uno dei riti più rappresentativi della nostra cultura. Su questo abbiamo puntato la differenziazione di Signorvino. Tanto che stiamo introducendo formule ad hoc per potenziarne l’offerta. Anche per quanto riguarda Oniwines abbiamo gli stili giusti per affrontare questo momento di consumo che predilige vini freschi, di facile beva, da consumare anche in piedi.
Signorvino: che progetti?
Dovremmo raggiungere le 50 aperture a fine anno. Oggi siamo a 43 locali. Altri 4 sicuramente vedranno la luce alla fine dell’anno gli altri forse slitteranno in avanti. Questo dovrebbe proiettarci comunque verso i 120 milioni di giro d’affari rispetto ai 100 milioni del 2024. Veniamo da un trimestre difficile iniziato con l’annuncio del nuovo Codice della Strada. Una botta da -30-40% di fatturato nel fuoricasa. Da Pasqua è partito il miglioramento. Le vendite retail pesano per il 30% del volume. Puntiamo forte sulla formazione: uno staff che non solo vende, ma parla, studia il vino e pure il cliente. Il risultato è un rapporto diretto, schietto. Una piccola rivoluzione.
NB: L'intervista è tratta da RMM 2/2025, disponibile a questo link: https://ristorazionemoderna.it/magazine/ristorazione-moderna-magazine.html