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A destra, Maurizio Rosazza Prin, co-founder assieme ad Alida Gotta di Delivery Valley
A destra, Maurizio Rosazza Prin, co-founder assieme ad Alida Gotta di Delivery Valley
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Maurizio Rosazza Prin (Delivery Valley): "Spazio alle cucine ibride"

Dark kitchen visibile, ristorante ibrido, laboratori vocati alle consegna a casa? Delivery Valley è un po’ tutto questo, “una console inclusiva in cui inseriamo, di volta in volta, il programma giusto per interpretare il mondo del cibo”, afferma Maurizio Rosazza Prin che, insieme ad Alida Gotta (entrambi ex-concorrente di MasterChef Italia), nel 2020 ha dato avvio a questo format innovativo arrivando a 6 locali nel giro di tre anni generando un giro d’affari di due milioni di euro grazie a oltre 750mila pasti preparati dal debutto ad oggi. Un successo spinto dalla diffusione del food delivery e dalle esigenze della clientela urbana. Elementi che, alla ripresa post-vacanze, vanno ricompresi alla luce delle nuove abitudini di spesa e consumo.

L'intervista a Maurizio Rosazza Prin (Delivery Valley).


Avviata in piena pandemia, Delivery Valley ha incrociato il boom del food delivery. Fenomeno che nel frattempo sembra aver raggiunto il suo massimo potenziale. Come influenza il vostro business model?

Il business delle consegne a casa si è molto stabilizzato. Ma c’è spazio per chi sa fare business. Avendo 8 ristoranti virtuali su tutte le classiche piattaforme di delivery non abbiamo patito le difficoltà del modello di consegna. Anzi, nel tempo abbiamo pure rilanciato, attraverso la nostra app che permette di ordinare le diverse pietanze dei nostri brand in un unico ordine. Detto diversamente, arriviamo ai clienti in maniera qualitativa evitando la “guerra” sulla scelta del prodotto da ordinare che di solito si consumo in famiglia, fra amici, ecc.

Nel frattempo continua lo sviluppo brick&mortar che per Delivery Valley significa dark kitchen visibili, identificabili e ristoranti ibridi dove è abilitato il consumo sul posto o il take away. A che punto siete?

Abbiamo avviato 6 locali, di cui tre ibridi. L’obiettivo è arrivare entro fine anno a 8 punti vendita per poi guardare anche all’estero. In alcuni mercati stranieri, infatti, il consumo di alcuni prodotti e il servizio delivery sono molto più sviluppati che in Italia. Fra le piazze sotto osservazione ci sono: Monaco, Berlino, Norimberga, Amsterdam e Copenaghen. Contestualmente, stiamo considerando la possibilità che uno o alcuni dei nostri virtual brand possa diventare uno spin-off reale, fisico indipendente. D’altronde, fin dall’inizio, Delivery Valley è un hub creativo al servizio della ristorazione e del cibo.

Come scegliete i brand da inserire nelle vostre dark kitchen?

Alida ed io siamo, prima di tutto, dei foody: viviamo per sperimentare con il cibo. Alcune idee ci vengono mangiando insieme, uscendo nei locali. Un esempio è il Katsu Sando, il panino giapponese con la cotoletta impanata. Siamo stati i primi a intercettare questa proposta e renderla disponibile al grande pubblico. Ma non ci fermiamo qui: abbiamo già in testa 10 nuove proposte da valutare, alcune verranno scartate, altre finiranno nel menu di Delivery Valley. Siamo una console inclusiva in cui inseriamo, di volta in volta, il programma giusto per interpretare il mondo del cibo.

Quanto conta la replicabilità della ricetta, del virtual brand per il suo successo?

Moltissimo. Questo, però, non vuol dire che ci si debba perdere nelle pieghe dei file excell oppure ci si debba dimenticare della qualità degli ingredienti. La sfida è utilizzare il saper fare italiano, la cura per i dettagli e le tecniche della cucina stellata per realizzare un prodotto fast food accessibile. Per questo, ci appoggiamo a un laboratorio centralizzato e a fornitori esperti le cui attività vengono intrecciate da un software di business intelligence che ci permette di ridurre gli sprechi e avere tutto quello che ci serve sul punto vendita, dove si completano gli ultimi passaggi e gli assemblaggi. Siamo convinti che la mano del cuoco debba accompagnare e non cambiare la ricetta ogni volta che la realizza. In questo sta il nostro concetto di standardizzazione. Con un chiaro effetto anche sulle operation: in un momento in cui il personale specializzato è difficile da trovare, semplificare le metodologie di preparazione ci permette di accogliere anche chi non ha esperienza nel settore.

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Un esempio di lavorazioni standardizzate?

La maionese, realizzata ogni mattina a partire dalle uova fresche utilizzando una formula standard comune a tutti i punti vendita. Oppure il pollo del virtual brand Gira Gira Arrosto il cui segreto di gusto sta, da un lato, nell’utilizzo di un mix di trenta spezie frutto delle nostre ricerche e sperimentazioni, dall’altro, nell’utilizzo di forni ad alta precisione, forniti dal nostro partner Rational, con cui garantiamo una cottura perfetta e coerente su tutti i punti vendita.

A Torino avete lanciato il primo format ibrido che apre anche al consumo in loco: Delivery Valley sta diventando una food court in miniatura?

L’ibridazione è la vera novità del nostro concept che ora può definirsi una no gender kitchen. Certo, è un passaggio che richiede una ristrutturazione interna ma che ci permette di coprire tutti i tipi di consumo: delivery, take away e in loco. A Milano, in viale Col di Lana, abbiamo realizzato l’ultima riconversione. E a fine settembre, a Cadorna, apriremo il nostro flagship proprio con queste caratteristiche. Nel frattempo, stiamo mettendo a punto anche l’inserimento del servizio No Gender Wines dedicato al momento dell’aperitivo. Insomma, la multicanalità è il futuro della ristorazione, soprattutto per le nuove generazioni. Noi vogliamo essere al centro di questa evoluzione.

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Ma come sarà il profilo del consumatore dopo le vacanze estive e in un momento in cui l’inflazione, sebbene in rallentamento, pesa ancora sulle tasche degli italiani?

Il mercato autunnale è il più importante per noi: realizziamo circa il 55% del fatturato dall’8 di settembre alla prima settimana di dicembre. Cifra significativa. I locali ibridi, però, ci hanno dato nuove prospettive di consumo. Per quanto riguarda l’inflazione già l’anno scorso abbiamo lanciato la campagna “Sicuro che ti convenga?”. L’idea, provocatoria, era quella di mostrare come, in alcune occasioni, il food retail fosse competitivo tanto quanto una spesa al supermercato, che ora in alcuni casi sembra diventata un lusso. Con questo non vogliamo dire che il delivery o il take away ti permettano di risparmiare ma che ormai siano un’alternativa sdoganata alla cucina di casa. L’importante è assicurare quella qualità a cui il cliente italiano non rinuncia.

Su questo approccio si gioca anche l’approccio del delivery come media. Come funziona?

Da sempre abbiamo considerato le nostre proposte e il nostro modello di business come uno strumento con cui entrare nelle sale da pranzo dei nostri clienti. Una possibilità su cui abbiamo costruito alcune partnership per spingere prodotti e servizi extra inseriti nei nostri ordini come dei cadeaux. Questo, da un lato, offre delle possibilità di cross selling ulteriori e, dall’altro, crea un legame indissolubile con il consumatore che ci vede anche come abilitatore di nuove scoperte gastronomiche.

       
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