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Umberto Montano, fondatore di Mercato Centrale
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Umberto Montano (Mercato Centrale): "Al via il piano industriale"

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- Umberto Montano Mercato Centrale - Mercato Centrale anniversario - Mercato Centrale artigiani del gusto

L’idea era quella di creare una “piazza della ristorazione”. Dieci anni dopo, Umberto Montano ne ha aperte ben quattro con l’insegna di Mercato Centrale. Il progetto, che vide i natali a Firenze l’aprile del 2014 è poi arrivato anche a Roma (2016), Campi Bisenzio (con il formai Ai Banchi, 2017), Torino (2019) e Milano (2021). “Alla vigilia della prima apertura non immaginavano questo sviluppo. Doveva essere un progetto fiorentino, da curare e sviluppare nella dimensione locale. Solo il primo giorno arrivarono 10mila persone. Dopo tre giorni di afflussi record abbiamo capito di aver fatto centro”, rivela Montano.

L'intervista a Umberto Montano (Mercato Centrale).

La verità era che quello è stato solo il primo passo. Oggi Mercato Centrale a che punto è?

Abbiamo messo in piedi un’attività con 1.500 addetti, 4 mercati dove sono attivi 100 artigiani e generato un fatturato che, nel 2023, ha toccato i 77 milioni di euro. Un traguardo importante arrivato a certificare la completa ripresa post-Covid. Per quanto le tracce di un fenomeno così devastante restino ancora un po’ presenti, aver superato quella tempesta fragorosa, magari acciaccati, ci ha riempito di soddisfazione.

Tanto che per il decennale vi siete regalati una festa in più date.

Abbiamo iniziato da “Diquisito”, il primo festival di Mercato Centrale, tenutosi a Torino dal 19 al 21 aprile. Una tre giorni in cui abbiamo parlato di cibo italiano alla ricerca di opinioni complete, originali e trasversali per migliorare il rapporto con il pubbliche che serviamo. Sono certo che lo ripeteremo anche i prossimi anni: imparare per noi è una costante. Ancora oggi dobbiamo far tesoro della nostra quotidianità. Bisogna saper sempre più aderire alle esigenze del pubblico. Essere aperti al perfezionamento. Oltre a ciò, abbiamo organizzato un calendario di celebrazioni nei vari punti vendita: il 30 maggio a Firenze con la presentazione dell’opera Suspended Flow di Vincenzo Marsiglia con la curatela di Davide Sarchioni, a settembre saremo a Milano e a novembre chiuderemo a Roma.

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Celebrazioni sì, ma anche tanto lavoro. Quali sono i progetti che vi attendono?

Nella primavera 2025 daremo avvio allo sviluppo industriale del brand. Stiamo lavorando in questo periodo per l’identificazione precisa degli asset che diventeranno oggetto di studio. Nel frattempo, sono già in via di realizzazione due locali: Mercato Centrale a Melbourne in Australia, per il quale abbiamo lavorato negli ultimi due anni e a ottobre aprirà i battenti; mentre nell’aprile 2025 toccherà a Bolzano all’interno del WaltherPark. Le nuove aperture dovranno tener conto anche delle nuove abitudini alimentari dei visitatori.

Come è cambiata la domanda?

Sta prendendo un po’ più piede la cucina del benessere, quella salutistica. Anche se poi nessuno rinuncia a un gran piatto di pasta. Sicuramente la carne rimane il prodotto best seller del locale. Per sintetizzare, sono convinto che la sperimentazione in cucina funzioni purché si inserisca nel quadro di un rispetto chiaro della tradizione che ha reso celebre il nostro cibo nel mondo. Innovare per dimenticare sapori, corrette tecniche di cottura, conservazione alimentare, ecc. non va bene.

Come si diventa un artigiano del gusto all’interno di Mercato Centrale?

È la cosa più semplice del mondo: nessun processo di selezione. Basta rispettare le due “P con C”, come le chiamo io. Un artigiano che fa con passione il suo lavoro professionale, mettendoci cura può trovare casa qui. Sia che ci vengano a cercare loro, sia che li andiamo a scovare noi. L’investitore rimane comunque il Mercato Centrale, che sostiene tutti i capex, l’artigiano deve guidare solo il suo progetto e la passione e laddove le due cose combaciano sfocia in un punto vendita duraturo: mediamente durano dai 6 ai 10 anni. Alcune insegne non le abbiamo mai cambiate.

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Questo significa che il Made in Italy è ancora un brand spendibile dopo la spirale inflattiva, le polemiche sul vino e sulle alternative alle proteine animali?

La tradizione italiana della buona tavola mette per nostra fortuna al riparo il nostro patrimonio da ogni tipo di aggressione faziosa. A partire da quello della convivialità: stare insieme mediante il cibo è un valore tutto italiano.
Un patrimonio culturale che per le sue caratteristiche è al centro di un interesse comune. Il problema delle sofisticazioni alimentari noi lo teniamo sotto la soglia di controllo perché da noi non attecchiscono. È una questione
culturale. Che paradossalmente anche gli stranieri ormai comprendono e ricercano. Non a caso diamo da mangiare a 15 milioni di persone l’anno.

Mercato Centrale è stata, spesso, anche l’occasione per la riqualificazioni di diverse aree urbane. Quanto conta tutto ciò nel vostro progetto?

Noi cerchiamo spazi con certe caratteristiche che alla fine risultano sempre da recuperare. Per noi è un impegno primario. Poi sono le persone, i visitatori a riqualificare veramente questi luoghi. Spesso insieme a Mercato Centrale nasce una nuova piazza protetta, sicura anche nella proposta culinaria, praticabile da tutti i segmenti della popolazione. Insomma, trasformiamo i luoghi in mete, destinazioni.

E la digitalizzazione e il food delivery?

Aiuta a gestire i grandi numeri della ristorazione. È un asset imprescindibile sotto il profilo gestionale e organizzativo. Ma non si deve rimanere indietro e fermarsi solo a questo aspetto. Ci si deve adeguare e riempire il digitale di contenuti. Che sicuramente non possono essere veicolati dal food delivery. Specialmente quelli che vogliamo diffondere noi e che non possono essere “mandati a casa” ma, piuttosto, vanno vissuti in esperienze concrete.

Infine, che ne pensa dell’attuale criticità del personale nel fuoricasa?

Lo dico chiaro: bisogna smetterla di piangersi addosso. Faccio questo mestiere da 40 anni. E non è mai stato un mondo semplice, dall’hotel al bar. Ma alla fine bisogna mettere un freno alle lamentele e fare qualcosa per attrarre le risorse di cui si ha bisogno con lo stipendio giusto, con il trattamento corretto, con una dose di flessibilità e tanta programmazione. I lavori nel fuoricasa pretendono sacrifici consistenti e non andare incontro a chi li sopporta è una scelta miope.

di Nicola Grolla

NB: Questo articolo è tratto da Ristorazione Moderna Magazine 2-2024 disponibile a questo link: https://ristorazionemoderna.it/magazine/ristorazione-moderna-magazine-2-2024.html

       
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