La discussione dell'emendamento al DL Concorrenza che vorrebbe introdurre il tetto del 5% alle commissioni sui buoni pasto è partita, e gli animi si dividono. Da una parte, il sì dei pubblici esercizi sostenuto da Fipe e Fiepet, che così vedrebbe estendere al privato una norma già presente nel settore pubblico; dall'altra il no di Anseb, l'associazione delle società emettitrici di buoni pasto, che sostiene come questa scelta "potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla concorrenza, sul settore e anche per i lavoratori".
Ma di cosa stiamo parlando? Il tema dei buoni pasto torna di attualità con la discussione in corso sul DL Concorrenza al Parlamento. In particolare, è l'emendamento presentato dal deputato di Fratelli d’Italia Silvio Giovine a far scattare il dibattito. Un provvedimento atteso da tempo dalle attività della ristorazione e le imprese, oltre 170mila attività, che accettano i voucher per il pagamento della pausa pranzo (e non solo). Attualmente, infatti, le commissioni possono arrivare al 20% mentre con la modifica in discussione si estenderebbe un tetto pari a quello già in vigore nella pubblica amministrazione. L’emendamento prevede un periodo transitorio di 12 mesi dall’entrata in vigore della misura per dare tempo agli operatori di adeguare i contratti ancora in essere alla disposizione. Questo andrebbe a modificare le logiche con cui, ad oggi, si muove il mercato di questi fringe benefit (benefici che non concorrono a formare il reddito imponibile del lavoratore e non sono soggetti a tassazione). Innanzitutto, sono le aziende a comprare il buono pasto, come investimento di welfare, da società emettitrici. Quest'ultime, al momento del rimborso del buono pasto da parte dell'esercente che lo ha incassato, applicano una commissione (il valore nominale del buono) in una percentuale variabile. Se il tetto fosse posto al 5%, da un lato il buono pasto diverrebbe più costoso per le aziende che lo acquistano e per i lavoratori che lo utilizzano a fronte di un risparmio per l'esercente.
Su questo crinale si confrontano le associazioni di categoria. Da una parte, Fipe: "Solo una moralizzazione del mercato può salvare lo strumento del buono pasto, che deve restare un beneficio per i lavoratori senza diventare un peso insostenibile per la rete degli esercenti. La revisione del sistema delle commissioni sui buoni pasto è una necessità ormai inderogabile", afferma il vicepresidente vicario Aldo Cursano. La federazione, infatti, sostiene che l'introduzione del tetto non comporterà alcuna penalizzazione per i lavoratori, per i quali il valore del buono pasto rimarrà invariato. Al contrario, questa misura rappresenta un beneficio concreto per il settore della ristorazione e per tutti gli esercenti, garantendo un sistema più equo e sostenibile. Dello stesso avviso anche Fiepet: "Il tetto del 5% sarebbe utile per tutelare anche gli esercenti, spesso piccole imprese, dai costi eccessivi attualmente imposti unilateralmente dagli emettitori dei buoni. Costi insostenibili potrebbero infatti spingere numerosi esercenti a rifiutare i buoni pasto, riducendo significativamente l’efficacia di questo importante strumento di welfare aziendale. È fondamentale, però, che l’introduzione di un tetto alle commissioni avvenga con una transizione attenta e graduale, che non metta a rischio la validità dei contratti attuali, senza aggravare i carichi amministrativi dei piccoli esercenti", ha ricordato il presidente Giancarlo Banchieri.
All'oposto c'è l'Anseb, l'associazione delle società che emittono buoni pasto: "L'introduzione anche nel settore privato di un tetto del 5% alle commissioni pagate dai commercianti agli emittenti di buoni pasto potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla concorrenza, sul settore e anche per i lavoratori", ha sottolieato il presidente Matteo Orlandini. La stessa misura introdotta nel 2022 per i contratti nel settore pubblico - indica l'associazione, con una nota - ha portato a un aumento dei costi dei buoni pasto per la PA pari a circa 100 milioni di euro. La stessa cosa potrebbe succedere nel settore privato dove le aziende riscontrerebbero maggiori costi per almeno un 6%, per un importo stimabile in 180 milioni annui, pari a 153 euro l'anno per lavoratore. All'orizzonte, quindi, ci sarebbe una perdita per tutti: "Apriamo a una nuova stagione di contrattazione tra privati anche, e soprattutto, a difesa degli interessi dei piccoli esercizi pubblici. Se questa non fosse l'intenzione, almeno si rivedano i tempi di introduzione della misura senza far saltare gli accordi con 150 mila aziende e 170 mila esercenti, obbligando a mettere mano a oltre 300 mila contratti con immediate conseguenze sulla fruibilità dei buoni pasto", ha concluso Orlandini.