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Davide Canavesio, presidente e ceo di Blooming Group
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Davide Canavesio (Blooming Group): "Inizia l'era del franchising strutturato"

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- Blooming Group franchising - Blooming Group food retail

A conclusione di un primo semestre molto positivo, chiuso con la pubblicazione del primo bilancio di sostenibilità, Blooming Group si conferma nel franchising. Il merito va a una strutturazione insolita per il mercato italiano, ma sempre più diffusa (e richiesta). In un acronimo: Mumbo (multi-unity multi-brand operator). "All'estero sono molto diffusi. Si tratta di operatori franchising che gestiscono più brand con uno sviluppo a catena. Il beneficio per il franchisor è quello di sviluppare piani pià ambiziosi, per il franchisee di presentarsi sul mercato garantendo le giuste garanzie in ambito finanziario e opeativo", racconta Davide Canavesio, fondatore e ceo di Blooming Group. La società, con sede a Torino, oggi gestisce un network di 34 store nei settori food e retail. Qualche nome? Burger King (18 ristoranti), Befed (8), Rossopomodoro, Alice Pizza (oltre ai brand proprietari Barotto e Lab). 

L'intervista a Davide Canavesio (Blooming Group).
 

Come si sono chiusi i primi sei mesi di Blooming Group? 

Sono stati positivi sulle varie linee e brand con cui lavoriamo. Certo, va detto che ci vuole un po' di cautela nel maneggiare queste performance: se facciamo una comparazione like for like, infatti, non va dimenticato che a inizio 2022 eravamo ancotra alle prese con la variante Omicron. In generale, comunque, rileviamo un lieve miglioramento della marginalità grazie all'attenuarsi del problema energetico. Se continua così, a fine anno potremmo dirci soddisfatti e continuare il nostro progetto di crescita che, in un anno, ci ha visto passare da 11 a 34 milioni di euro di giro d'affari a fine 2022. 

In tutto questa, quanto ha contato l'interpretazione del franchising data da Blooming Group?

Iniziamo con il dire che, in Italia, siamo stati abituati a un mercato franchising molto frazionato, fatto di franchisee con un singolo punto vendita e poco più. Insomma, finora questo business model non ha mai abbracciato una cultura industriale in cui una società può crescere fino a contenere decine di punti vendita magari di diverse insegne, anche in ambiti merceologici diversi. Qualcosa sta cambiando e noi siamo protagonisti. D'altronde, i vantaggi non mancano, sia per il brand sia per il partner commerciale. L'importante è che alla base del rapporto ci sia la volontà di collaborare su marketing, controllo qualità, condivisione dati.

Focalizzandoci sulla ristorazione, qual è la vostra preferenza di format?

Attualmente siamo molto sbilanciati sul segmento QSR (quick service restaurant, ndr) e ci troviamo molto bene. La pandemia, infatti, ha sdoganato e reso più familiare questo settore aprendosi a una clientela ancor più ampia del pre-Covid. Se prima, infatti, si pensava che il fast food fosse solo una destinazone per ragazzini, ora grazie a un servizio più organizzato, omnicanale e a un'offerta gastronomica di qualità riesce a conquistare una fetta di pubblico maggiore. Gestiamo anche marchi attivi nel segmento del casual dining, anch'esso attraversato da un'evoluzione che ha reso il servizio più rapido e trasversale, senza perdere per strada il proprio bacino di riferimento: gruppi di amici e famiglie. 

Ora che sviluppi dobbiamo attenderci? 

In questi sei mesi abbiamo notato diversi andamenti a seconda dei canali di sviluppo. I centri commerciali hanno patito le chiusure dovute alla pandemia e stanno ancora recuperando sul 2019, soprattutto in termini di footfall; metrica essenziale per la ristorazione. Nei centri urbani, invece, nonostante lo smart working, il recupero è stato più rapido anche grazie all'adozione del food delivery e di modelli di drive thru che si sono dimostrati asset molto validi nel differenziare le modalità di offerta. Per un bilancio finale, però, penso che dovremo aspettare anche la conclusione della stagione turistica. 

E come è cambiato il vostro target di riferimento nel food retail?

La pandemia ha accelerato la crescita del fuoricasa. Se prima era un'eccezione, magari per le grandi occasioni o un weekend, ora la funzionalità e la convenienza dell'offerta hanno allungato il momento di interesse per questo canale. Certo, rimane forte il peso dell'inflazione, che da un lato pesa sulle tasche dei clienti e dall'altro "droga" un po' le performance. Ma il cliente ha capito che la ristorazione a catena ormai è una valida alternativa alla ristorazione tradizionale. Non a caso, accogliamo sempre più famiglie nei nostri locali alla ricerca del migliore rapporto qualità-prezzo.

A inizio giugno avete pubblicato il vostro primo Bilancio di Sostenibilità. Che significato ha per voi?

Fin dall’inizio abbiamo messo la sostenibilità al centro del nostro business. Come dicono gli anglosassoni, vogliamo essere accountable, credibili. Dalll'installazione di sistemi fotovoltaici alle colonnine per le ricariche elettriche, dalla gestione dell’aria condizionata al riscaldamento abbiamo messo in pratica delle azioni che riteniamo ormai essere lo standard per la sostenibilità del business. Detto diversamente, seguiamo alla lettera le indicazioni dei parametri Esg. Nel sociale, per esempio, collaboriamo con un'associazione di ragazzi down per l’inserimento professionale nei nsotri store. Azioni che abbiamo voluto raccontare meglio al pubblico mettendoci a nudo, per far capire l'impatto positivo che il commercio può avere nella nostra società. 

di Nicola Grolla

       
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