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Luca Lotterio (Restworld): "Lavoro al ristorante, serve nuovo modello"
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Il periodo delle festività natalizie rappresenta uno dei maggiori picchi della ristorazione che, post-Covid, è ancora alle prese con la questione personale. Nonostante l’occupazione sia tornata ai livelli del 2019 (con 987mila occupati, dati Fipe), il 60% degli imprenditori lamenta ancora grosse difficoltà nel reperimento di forza lavorp. All'inizio del trimestre in corso, per esempio, il fabbisogno era di oltre 150mila addetti. Come recuperarli? La risposta è arrivata da Luca Lotterio, ceo di Restworld che, insieme allo Studio Necchio, ha pubblicato Step By Step: il primo manuale interamente dedicato alla riduzione della settimana lavorativa nel fuoricasa. "Il nostro obiettivo è arrivare alla settimana di 5 giorni che, rispetto ai 6 attuali, rappresenterebbe già un enorme passo avanti, sebbene in Europa la situazione sia ben diversa", ha affermato ai microfoni di RM.
Intervista a Luca Lotterio (Restworld).
Da quale situazione di mercato siete partiti per la stesura di Step by Step? E che obiettivi vi siete dati?
La situazione è molto nota: si fa fatica a far incontrare domanda e offerta di lavoro nella ristorazione. Parliamo di un settore che ancora sconta alcuni pregiudizi venendo considerato di scarsa qualità, secondario rispetto ad altri impieghi, usurante, con bassi stipendi. Le cose, però, stanno cambiando. Si presta più attenzione al personale e alla gestione delle risorse umane. Si tratta sicuramente dell'onda lunga del Covid che ha generato una maggiore emersione del lavoro nero, l'implementazione del lavoro a turni, la funzionalità dei contratti a tempo indeterminato rispetto al semplice contratto a chiamata, ecc. Tutto ciò, nel mondo degli uffici, ha portato persino a esperimenti di settimane lavorative da 4 giorni. Non pensiamo di arrivare a tanto anche nel fuoricasa, ma tutti si sono resi conto che si lavora troppo con il rischio di deteriorare un ambiente fatto di connessioni, sia con le persone sia con la materia prima, per sostenere la narrazione del "sacrificio". Sul nostro portale di job matching abbiamo 2.500 offerta dedicate all'Horeca e quelle che performano meglio prevedono i 5 giorni lavorativi.
Cosa si intende, quindi, con settimana corta nella ristorazione e come implementarla?
Per settimana corta intendiamo una settimana lavorativa su 5 giorni. Per implementarla serve innanzitutto una buona dose di organizzazione. Innanzitutto, in tema di gestione e previsione dei flussi. Dato da cui, a cascata, deriva anche la stima del fabbisogno di materie prime e personale. Ci sono già delle app e soluzioni digitali capaci di ottimizzare micro e macro-processi di management. L'obiettivo è quello di efficientare l'utilizzo del tempo di ciascuna risorsa. Un lavoro di lima che, pian piano, arriva ache alla razionalizzazione del numero degli addetti.
Quali sono i benefici?
Per quanto riguarda il datore di lavoro, si troverà di fronte un team più soddisfatto, motivato e fidelizzato. Condizioni che permettono di generare quei fenomini di upselling con ritorno immediato sul fatturato. in secondo luogo, con la settimana corta e un migliore bilanciamento fra vita privata e vita professionale si gestiscono meglio anche malattia, ferie ed eventuale turnover. Questo è anche il maggior beneficio per il lavoratore che così può dare priorità al riposo e al recupero per far fronte a un'attività che comunque la si guardi resta dispendiosa da un punto di vista fisico.
In questo senso, le catene della ristorazione sembrano più avanti della ristorazione tradizionale. Questione di Dna o solo di taglia?
Sicuramente le catene nascono già con una complessità gestionale intrinseca che il ristorante indipendente si trova ad affrontare solo occasionalmente. Ma l'organizzazione del lavoro è simile, per lo meno a livello di mansioni. Per questo nemmeno le catene di ristorazioni sono immuni dalla mancanza di attenzione ai lavoratori. Si tratta di percorsi che in molti casi si stanno strutturando in questi ultimi anni. Forse è questa proattività la vera differenza fra i due business model. Di argomenti per non cambiare, infatti, ce ne sono un'infinità: "si è sempre fatto così", "non so da dove cominciare", "nel mio locale è impossibile", ecc. Il food retail sembra porsi meno dubbi.