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Massimo Barbieri, consulente franchising specializzato nella ristorazione e fondatore di Sofi Consulting
Massimo Barbieri, consulente franchising specializzato nella ristorazione e fondatore di Sofi Consulting
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Massimo Barbieri (Sofi): "Ecco perché il franchising funziona"

Un consulente specializzato nel franchising che lavora soprattutto con le catene di ristorazione in fase di crescita o espansione, questo è Massimo Barbieri. Löwengrube, Tosca - Eccellenze Toscane, Miscusi, Cigierre, I Love Poke, ecc. i clienti in portfolio. Nomi che hanno fatto dell'affiliazione un modello di business vincente. Ma anche catene ai primi passi, in cui magari investire qualcosa; "Quote pressocché simboliche", afferma Barbieri che nel 2017 ha dato vita a Sofi Consulting per farle ingranare. Detto diversamente: "Inventare il format è un mestiere, renderlo scalabile è il mio mestiere"

L'intervista a Massimo Barbieri (Sofi Consulting).

Dove ha mosso i primi passi?

Nella grande palestra di McDonald's. Anzi, l'università del franchising che ho frequentato per 15 anni. Poi ho deciso di andare da solo, creando Sofi Consulting e oggi collaboro con diversi player del food retail. 

Sempre per creare reti in franchising. Come sta andando il settore?

La mia frase preferita è: the trend is your friend (letteralmente, la tendenza è tua amica, ndr). E funziona anche per spiegare il successo dell'affiliazione nel fuoricasa. Innanzitutto, va ricordato che, dopo il crollo del Covid, la ristorazione ha recuperato e aumentato il suo giro d'affari con una previsione di oltre 100 milioni di euro di fatturato, secondo TradeLab. In secondo luogo, aumenta anche il peso delle catene è cresciuto, sempre secondo la stessa fonte, fino al 10% del totale dei consumi fuoricasa. La media europea è del 26%. Infine, nel 2023, secondo Assofranchising l'affiliazione commerciale vale 34 miliardi - erano 23 nel 2014 - con la ristorazione che pesa il 12% del totale. Questo grazie a una situazione win-win in cui il franchisor mette il know how e la capacità di generare economie di scala e il franchisee mette capitali, conoscenza del territorio e determinazione imprenditoriale. 

Come si svolge, in pratica, il suo intervento su un'insegna?

Prima di tutto, mi concentro sull'ingegnerizzare i processi e l’organizzazione, attraverso la creazione di un manuale operativo. Successivamente si passa alla ricerca di nuovi profili imprenditoriali. Costantemente supporto l’affiliato con servizi più o meno sofisticati come la ricerca di immobili, la creazione della supply chain, ecc. Non c'è una formula magica, comunque. 

Da franchisee, come scegliere il giusto partner?

Bisogna guardare alcuni dei parametri. Primo: quanto è grande una catena, che in generale significa che ha avuto successo ed è strutturata. Secondo: che trend ha? Negozi in aumento o in diminuzione? Terzo: sul totale dei negozi esistenti quanti sono in franchising e quanti diretti. Per fare un esempio: oggi, in Italia, McDonald’s ha il 10% di negozi diretti su 700 e oltre del network. Un equilibrio che si è creato nel tempo. All'inizio, infatti, penso sia sempre bene avere uno zoccolo duro di locali a gestione diretta che servono da vero e proprio laboratorio, dove testare prodotti, macchinari, attrezzature, metodi di cottura, ecc. Infine: guardare al numero medio di negozi in gestione a un affiliato: chi ne ha 5-6 significa che è contento di come è andato il business. Sembra banale, ma dice molto. 

Il fenomeno dei multi-operator multi-brand sta prendendo piede anche in Italia?

Sì, il mercato sta andando verso la creazione di busk franchisee, ossia società che hanno le dimensioni tali per gestire più negozi di più brand; magari in settori diversi. Grazie a questa organizzazione possono vantare una leva economica maggiore. E differenziare il business. Magari puntando su insegne di dimensione più contenuta, con bassi capex così da avere una maggiore capillarità sul territorio. Non è un caso che anche i grandi franchisor si stiano strutturando offrendo concept di taglia inferiore, come il Klein il Wagon di Löwengrube, oppure Billy Tacos di Roadhouse. 

Oltre a questa quali altre tendenze si stanno facendo largo?

Penso ci sia ancora margine di crescita per la pizza, che lo scorso anno ha registrato un +14% di giro d'affari con 15 miliardi di fatturato per il settore. Performance che fa da traino anche alla cucina italiana in senso lato, magari in format ibridi che offrono entrambe le proposte, come Pizzikotto. Nel comparto panini, invece, dopo l'hamburger classico si sta imponendo lo smash burger che apre le strade a una nuova ventata di brand esteri come Goiko Grill che segue il successo di mostri sacri come McDonald', Burger King, Old Wild West, ecc. Da buon italiano dico anche il gelato. Infine, mi sembra che il cibo etnico come poke e sushi rimangono dinamici, anche se, forse, gli anni d’oro della crescita sono alle spalle e lasciano spazio al consolidamento. Menzione particolare: il pollo. Questo prodotto sarà il futuro dei menu food retail. Non a caso stiamo attendendo l'arrivo in Italia di Popeyes: 4mila locali globali e proposta di cucina Cajun. In generale, c'è voglia di prodotti più sani, freschi, legati ai concetti di sostenibilità e benessere fisico. 

E all'estero? 

Sono stato in Cina, un viaggio in cui ho visto molte catene straniere investire nel mercato, magari attraverso un master franchisor. Là KFC supera McDonald's in termine di punti vendita. Poi ho visto diversi brand locali che fanno dei format ridotti, dei bassi capex, il loro mantra. Un esempio? Luckin Coffee, che sfrutta la tecnologia, dagli ordini ai pagamenti, per diventare sempre più capillare. 

La digitalizzazione è la spina dorsale, insieme alla qualità del cibo, di ogni progetto food retail. Quali sono i processi più sensibili?

In cucina e nel back office, tutto ciò che rende i processi misurabili e controllabili. Ci sono delle aziende che fanno forni ad altissima tecnologia che permettono il controllo da remoto dell'equipment. Questo garantisce un servizio cliente migliore, un risparmio energetico e un miglior tasso di aggiornamento in caso dell'introduzione di nuove ricette. Poi c'è il tema della trasmissione degli ordini: tutto ormai compare su video. In sala, invece, kiosk e mobile ordering e payment garantiscono un maggiore grado di fidelizzazione e profilazione dell'utente.

di Nicola Grolla 

       
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