La ristorazione è ripartita, ma dietro di sè rimane un record negativo: nel 2021, il saldo tra iscrizioni e cessazioni di attività alle Camere di commercio è stato di -14.188; la cifra più alta di sempre. E sempre nello stesso anno, per la prima volta, sono diminuite le attività ristorative registrate (-707 imprese) rispetto all’anno precedente, invertendo un trend di crescita che perdurava da oltre dieci anni. Questo il dato amaro emerso al Forum della Ristorazione di Padova (17-18 ottobre) che resituisce una fotografia ancora sbiadita rispetto al 2019 del settore fuoricasa.
Cala il consumo fuoricasa, food delivery a 1,7 miliardi.
Se, pre-pandemia, il consumo alimentare fuoricasa degli italiani valeva 83 miliardi di euro, lo scorso anno si è fermato a 63 miliardi. Una distanza di cui è avvantaggiato l'online nelle sue varie forme. Innanzitutto, il food delivery è aumentato del 15,3% arrivando a toccare un valore pari a 1,17 miliardi di euro (nel 2021 sono stati 13,2 milioni gli italiani che hanno ordinato a domicilio utilizzando le piattaforme). Ma anche le prenotazioni digitali sono raddoppiate e nel 40% dei casi i clienti scoprono il locale via web. Certo, non abbastanza da mettere al sicuro le aziende. Confermando le difficoltà del comparto fisico, su cui ora pesano i rincari delle bollette, e del contesto economico generale, con l'inlfazione che erode il potere di acquisto dei clienti.
I rincari energetici fanno costare di più il menui.
A proposito di rincari, l'aumento dei costi energetici si è riversato anche nei menu, aumentati dal 36,9% dei ristoranti (con il 44% di questo campione che si posiziona in un range del +6-10%). Una leva che difficilmente potrà reggere. Per questo, nel corso del 2022, il 63,6% dei ristoratori intervistati ha dichiarato di aver modificato la propria attività: il 32,1% ha ridotto i consumi, il 20,7% ha ottimizzato i costi di produzione, il 10,3% afferma di aver dovuto effettuare tagli al personale. Dato, quest'ultimo, che incide negativamente sull'operatività dei punti vendita del fuoricasa. Soprattutto nelle grandi città: a Roma otto attività su 100 hanno chiuso i battenti. Ristoranti e simili sono decresciuti anche a Milano e Torino -0,6% e -0,4%, mentre il numero è aumentato a Napoli (+2,5%) e a Palermo (+3,3%). Firenze è rimasta pressoché stabile, con la quantità di nuove registrazioni che si attesta attorno alle 6.800 unità da 3 anni.
Lorenzo Ferrari: "Sopravvissute solo le realtà che si sono riorganizzate"
“Se da un lato questi numeri sono normali assestamenti di un mercato fin troppo affollato, dall’altro sottolineano la differenza marcata di competenze e liquidità presente tra gli imprenditori del settore. Nel biennio caratterizzato dalla pandemia sono sopravvissute quelle realtà che hanno saputo riorganizzarsi tempestivamente. Sono invece spariti molti dei locali che vivevano di solo passaggio, soprattutto turistico, senza badare particolarmente alla qualità del servizio e di modelli anacronistici privi di forme di digitalizzazione”, ha commentato Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione in occasione della presentazione dei dati in collaborazione con Istat e Censis, le associazioni di categoria Fipe e Federalberghi, Wearesocial, le banche dati di Infocamere e la web app Plateform.
Crisi del personale, cattive notizie dalle scuole alberghiere.
All'interno del rapporto, anche un'istantanea sul mondo della formazione, a cui il comparto guarda con attenzione per colmare il vuoto di personale odierno. Anche qui di lavoro ce n'è da fare: il numero di iscritti alle scuole alberghiere, infatti, nel 2021/2022 si sono contati solo 34mila nuovi studenti contro i 64mila del 2014/2015. Il fenomeno è frutto di una serie di cause, tra cui la tendenza alla great resignation di molti giovani che abbandonano il posto fisso per avviare attività in proprio, complice la nascita di nuove professioni, condizioni lavorative alienanti e ritmi faticosi. “Questo clima di sfiducia e diffidenza - ha aggiunto Ferrari - va combattuto facendo sistema e ripensando il settore per attirare e, soprattutto, trattenere i più giovani, aprendo a figure professionali più consone alle competenze e alle aspirazioni dei nativi digitali e ridisegnando orari e modalità di lavoro. Lo stesso contratto nazionale andrebbe rivisto per stimolare l’appeal del mondo ristorativo.”