Visite: 438
Visite: 438
- Information
- Protagonisti
Oscar Farinetti: "Grand Tour Italia, un avvio promettente"
Il 5 settembre ha aperto Grand Tour Italia, la nuova avventura gastronomica di Oscar Farinetti che sorge a Bologna in quello che fino a pochi mesi fa era Fico. Un'operazione che non ha mancato di sollevare qualche domanda e perplessità, vista la fine dell'esperienza precedente in cui (anche a causa del Covid) l'imprenditore fondatore di Eataly non è riuscito a mettere a terra l'ambizione di creare un polo che unisse tutte le fasi della filiera agroalimentare italiana a mo' di parco divertimenti. "Nella vita sbaglia solo chi fa - spiega Farinetti ai microfoni di RM - Ora, con Grand Tour Italia, siamo passati dall'orizzontale al verticale, riducendo la superficie e rendendo più intellegibile una proposta che, prima, forse era troppo alta per i visitatori mentre oggi ha già in sé gli elementi della sua replicabilità".
L'intervista a Oscar Farinetti (Grand Tour Italia).
Come sono andate le prime settimane di apertura?
Direi bene: le persone non mancano e i ristoranti rispondono bene. Un buon avvio. Ora bisogna prendere il ritmo. Al momento registriamo 7-8mila visite il giovedì e il venerdì e 15-17mila nel weekend quando i coperti dei 20 ristoranti regionali arrivano a quota 10mila. A tutto questo contribuisce l'ottimo avvio della proposta non-food. La scorsa settimana, per esempio, c'erano più di 100 persone raccolte per i nostri giovedì culturali. E parlavamo di Kant e Hegel, non proprio cose semplicissime. Mentre per la presentazione del nuovo libro di Chiara Gamberale, Dimmi di Te, sono già 200 le persone registrate. Questo conferma che l'unione di cultura, cibo, divertimento e famiglie è la combinazione vincente.
Quali obiettivi vi siete dati per il primo anno?
Arrivare a un milione e mezzo di visitatori e 30 milioni di euro di fatturato.
La proposta food&beverage si articola su 20 ristoranti regionali. Da dove nasce questa idea?
L'obiettivo della location è quello di offrire uno spaccato della biodiversità italiana; e vista la ricchezza del nostro Paese, a partire dall'offerta emiliano-romagnola, potevamo farne 100 di ristoranti tematici. D'altronde, solo in Italia, Francia, Giappone e India c'è una ricchezza simile. Alla fine abbiamo deciso di concentrarsi sull'ambito regionale dandoci la missione di portare in superficie e raccontare la qualità e la diversità che contraddistingue ognuna delle 20 Regioni italiane. Questo anche nell'ottica di replicabilità ed esportabilità del format. I cittadini del mondo, chi ci guarda da fuori, è il nostro vero pubblico e man mano che ci conoscono, capiscono che non siamo solo pasta e pizza, ma anche orecchiette, pizzoccheri e tutto il resto. Puntare su questa complessità enogastronomica regionale, inoltre, a mio avviso è la chiave per la sostenibilità della ristorazione che rimane un business molto complicato: solo chi sa interpretare al meglio il territorio, i suoi prodotti e le sinergie possibili riesce a stare in piedi.
Suona quasi come un ritorno alle basi.
Le alternative per la ristorazione, secondo me, sono due: o si realizzano format globali che possono soddisfare un target internazionale oppure, e questo vale soprattutto per i ristoratori indipendenti, è meglio dedicarsi alle storie e alle tradizioni del territorio cercando di innovarle. A cavallo di queste due possibilità, a mio avviso, c'è la regionalità gastronomica. Non a caso, nel mondo, funzionano molto bene i ristoranti monotematici di cucina siciliana, pugliese, romana, ecc. Tutto questo a patto di non fare sconti sulla qualità. Soprattutto in un periodo in cui uscire a pranzo o cena non è semplice, la sfida per i ristoratori è meritarsi il prezzo che si chiede ai clienti. Dobbiamo entrare tutti, professionisti e consumatori, nella logica che se paghi poco forse mangi anche male, in locali non curati e dove manca il rispetto dei collaboratori e della materia prima. Detto diversamente, bisogna saper caricare di valori materiali, tangibili, l'esperienza del fuoricasa. Ovviamente senza speculare sullo scontrino, che può aumentare aggiungendo altre esperienze come l'acquisto di prodotti confezionati oppure percorsi educativi e formativi. Solo con l'inventiva si riesce a fare business e quindi far fronte ai costi della ristorazione.
Riuscendo magari a intercettare l'interesse di qualche investitore. Che ne pensa del rapporto fra food e finanza?
Penso che investire nei ristoratori italiani all'estero sia un'ottima opportunità. Sia dal punto di vista del ritorno degli investimenti, grazie a possibilità di incassi maggiori rispetto a quelli che si potrebbero ottenere sul territorio nazionale, sia dal punto di vista reputazionale. C'è una forma di simpatia e rispetto nei confronti dell'Italia che ancora non si è esaurita e, spesso, rappresenta la chiave per ulteriori investimenti.
Infine, oltre al food&beverage, all'interno di Grand Tour Italia c'è grande spazio per il leisure.
Sì, come per Fico, anche per Grand Tour Italia l'ispirazione sono i parchi divertimento piuttosto che i centri commerciali. L'idea è quella di dare uno sfogo alle famiglie e ai gruppi, come quelli dei congressi, che ci vengono a visitare. Per questo, oltre alla classica farm, a breve apriranno anche il parco avventura e la pista di kart elettrici. Detto diversamente, vogliamo offrire delle opzioni parallele all'esperienza principale per impreziosire la permanenza all'interno dei nostri spazi.