Con un +0,9% di crescita dei consumi ad aprile rispetto allo stesso mese del 2019, la ristorazione certifica il ritorno alla normalità. Basterebbe questo dato diffuso dall’Osservatorio Confimprese-EY per mettere nero su bianco la sensazione condivisa da molti operatori: ora per il food retail è arrivato il momento della riscossa. Dopo la pausa imposta dalla pandemia, infatti, il canale dei consumi fuoricasa è pronto a riprendere la propria marcia, iniziata con l’Expo 2015 di Milano, mettendo nel mirino per l’anno in corso il bersaglio dei 75 miliardi di euro di valore (con una previsione di oltrepassare gli 80 miliardi di euro nel 2023). Protagoniste, saranno le catene della ristorazione che, in Italia, hanno registrato una crescita pari al +23,2% anno su anno secondo Deloitte, nonostante la loro quota si attesti intorno solo all’8% degli esercizi commerciali, e rappresentano la frontiera della vendita del cibo al dettaglio. Tecnologia, delivery, logistica, marketing, cucina, qualità della materia prima (spesso Made in Italy), immobiliare e imprenditoria si fondono e si preparano a una nuova primavera che racconteremo su Ristorazione Moderna.
Le 5 sfide del food retail, si parte dal delivery
Prima di cominciare la navigazione sul nuovo quotidiano online di Edizioni DM, però, meglio controllare le coordinate. Cinque sfide che indicano la via dei network food retail. A partire da una “vecchia conoscenza”: il food delivery. Nel 2021, le consegne a domicilio hanno toccato quota 1,5 miliardi di euro mettendo a referto una crescita del +59% rispetto all’anno precedente. Con il lockdown, questa modalità di servizio a domicilio ha definitivamente conquistato uno spazio nelle nostre abitudini, tanto che nel 2022 ha contribuito alla crescita digitale del food&grocery al +17% rispetto al 2021, per un valore di 4,8 miliardi di euro secondo l’Osservatorio di Netcomm e Politecnico di Milano. Questo ha portato alla nascita di nuovi player della consegna a casa sia nazionali sia locali che si sono avvicinati alle grandi piattaforme e a una risistemazione del modello di business: dalla gestione del contratto dei rider all’utilizzo del format dark kitchen, passando per il rapporto con i ristoratori partner. Certo, l’equilibrio fra tutte queste componenti non è facile da trovare (come dimostra la recente uscita di scena dal mercato italiano di Gorillas, piattaforma tedesca del quick commerce), ma alla fine vince sempre
il gusto.
Nel menu, tante proposte healthy food
A tal riguardo, a convincere i clienti sono sempre di più i format che propongono healthy food. Icona per antonomasia è il poke bowl restaurant. Ma anche la pizzeria, con l’utilizzo di farine particolari e impasti a lunga lievitazione, può trasformarsi in un tempio della buona alimentazione. Mentre chi centra la propria proposta su carne o pesce certifica e tracciare le materie prime utilizzate per offrire al cliente un prodotto di prima qualità e possibilmente animal e planet friendly. Il tutto senza dimenticare il ricorso alle eccellenze del territorio: Doc, Dop e Igt diventano ormai il biglietto da visita anche delle catene fast food che nel frattempo sperimentano con l’introduzione nel menu di referenze plant based. In ogni caso l’obiettivo resta uno solo: intercettare la nuova richiesta di alimentazione sana e sostenibile che arriva da clienti disposti a riconosce il valore aggiunto dell’offerta; anche a livello economico e nonostante la montante inflazione (+6,7% il carello della spesa a maggio secondo l’Istat) che deteriora il loro potere d’acquisto.
Il negozio fisico (dehors compreso) torna centrale
In questa logica, ritorna anche il concetto di esperienza. Sempre più multi e omnicanale, la customer experience è legata a doppio filo alla ripresa della socialità e, di conseguenza, alla rivalutazione del punto vendita fisico. Qui alcuni riti (come quello di scaricare il menu sul proprio smartphone scannerizzando un QR Code, sanificarsi le mani, preferire l’esterno, ecc.) rimarranno invariati anche dopo la caduta delle ultime restrizioni anti-Covid, ma si
torneranno a vivere vecchi e nuovi spazi: dai centri commerciali ai dehors, dagli aeroporti ai centri direzionali delle grandi città. A Mapic Italy 2022 (18-19 maggio), alcuni progetti commerciali hanno rubato l’occhio (come il To Dream a Torino o lo Shopping Resort Maximall Pompeii vicino al parco archeologico campano) mentre si riprendevano le fila dell’integrazione fra shopping, food e leisure – cinema, palestra, pista di go kart, ecc. Per il travel retail, tutto dipende dalla ripresa dei flussi turistici: 30 milioni di italiani vedono le vacanze estive, 9 milioni di loro hanno già prenotato e dal primo giugno per entrare in Italia dall’estero non è più necessario esibire il green pass. Infine, nel segmento high street, la proroga al 30 settembre delle autorizzazioni per i dehors ha dato nuova enfasi a piazze e vie giusto in tempo per l’estate, estendendo il raggio di azione e di servizio dei brand della ristorazione.
Capitali e food retail, ecco il nuovo pairing
Per cogliere tutte le opportunità, però, è essenziale che le aziende del food retail rafforzino il proprio business. Dall’adozioni di regimi fiscali di vantaggio (come la startup innovativa o le società benefit capaci di attrarre e condividere maggiormente gli investimenti) alle operazioni M&A, passando per le joint-venture e lo sviluppo in franchising l’obiettivo è quello di strutturarsi per crescere. Oltre i confini nazionali. Il processo di internazionalizzazione è già partito: da Poke House a Doppio Malto, da Signorvino a Pescaria, da Temakinho a Rossopomodoro, solo per citare alcune operazioni. Ora vanno sostenute. Nel biennio 2020-21, secondo un report del Venture capital monitor attivo presso Liuc Business School per Il Sole 24 Ore, le operazioni chiuse da fondi venture capital sfiorano i 270 milioni di euro. E nel primo trimestre 2022 secondo l’Osservatorio sul Venture Capital in Italia il Food&Agriculture ha raccolto 53,5 milioni di euro (in 4 round). I presupposti ci sono. Al netto di eventuali nuovi cigni neri. Anche perché il settore immobiliare retail è quanto mai effervescente. Nei primi mesi del 2022 sono stati 230 i milioni di euro investiti con attenzione particolare al settore grocery e hight street. Numeri che allontano gli spettri della retail apocalypse annunciata ma mai veramente arrivata in Italia.
Il nodo del personale che manca dietro ai fornelli e in sala
Infine, l’ultimo trend che segnerà il corso della Ristorazione Moderna italiana, sarà sicuramente quello occupazionale. Soprattutto durante i picchi estivi e per la ripresa autunnale. Fra il 2019 e l 2021, l’Horeca ha perso circa193mila addetti a causa delle incertezze legate alla pandemia. Un “buco” che ancora si fatica a colmare. Le ragioni sono diverse e molto se ne è dibattuto. Ma proprio dalle catene della ristorazione, per mezzo di Ubri - Unione dei brand della ristorazione italiana (1.500 locali per 20mila addetti), sono arrivate alcune proposte. A partire dalla richiesta al Governo che la legge 178 emanata nel 2020 relativamente alle decontribuzioni in materia di costo del lavoro sia estesa a tutta Italia, senza distinzione tra Mezzogiorno - cui è esclusivamente dedicata - e Nord. Un piccolo passo a cui andrebbe poi aggiunta il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle tasse con l’obiettivo di poter aumentare gli stipendi degli operatori del settore ma anche una maggiore flessibilità nell’applicare il contratto nazionale, per ottenere un bilanciamento tra lavoro e vita privata e rispondere, nel modo più equilibrato possibile, alle necessità di ogni lavoratore. Progetti che permetterebbero di mettere il giusto carburante nelle imprese del food retail.