Il food delivery non è più solo una questione di praticità, come dimostra l'ultimo osservatorio Just Eat realizzato in collaborazione con Toluna. Una vera e propria fotografia sulle abitudini, le emozioni e i piccoli rituali associati alla consegna a domicilio che trasformano questo servizio in un gesto culturale. Da chi ordina sushi per sentirsi cosmopolita a chi finge che la lasagna arrivi proprio dal forno, passando per chi non nasconde più di non aver voglia di cucinare, il rapporto degli italiani con il food delivery è uno specchio di preferenze e atteggiamenti che vanno oltre il legame con il cibo.
Con una media di 1,5 ordini a settimana, ordinare cibo a casa è ormai un’abitudine consolidata, più simile a un rituale che a un’emergenza da frigo vuoto. Chi ordina lo fa principalmente in compagnia (92%), spesso in coppia (55%) o in famiglia (49%), e non è raro dover scendere a compromessi sui gusti. La Gen Z utilizza il food delivery come estensione della propria socialità e, non a caso, spesso si ordina in gruppo, si litiga sui gusti e si risolve con “ordini paralleli” da ristoranti diversi (succede a più di metà dei giovani). I Millennials, invece, alternano momenti di convivialità a serate di comfort e binge watching, mentre la Gen X resta fedele ai propri locali di fiducia, quelli “di sempre”, spesso sotto casa. Una curiosità quando si parla di convivialità? Napoli è la città più “delivery social”: il 70% ordina in compagnia, contro il 59% della media nazionale.
L’umore e il contesto influenzano fortemente la scelta: il gusto, con le papille gustative, guida il 47% delle decisioni, il 30% con la pancia ordinando qualcosa che sia in grado di saziare, il cervello per il 13% con alimenti sani e nutrienti e l’estetica, con gli occhi, l’11%. Per i più attenti alle texture e ai suoni del cibo, il trend Asmr (Autonomous sensory meridian response) si fa sentire: il 19% cerca piatti con consistenze particolari e il 22% si lascia attrarre dall’estetica del piatto. Chi sceglie cosa ordinare, poi, lo fa guidato dalla praticità: velocità (50%), costi di consegna (47%) e prezzo dei piatti (45%) sono i principali driver. Chiamare per ordinare divide nettamente le generazioni: la Gen X non lo vive come un problema, mentre Gen Z e Millennials preferiscono le app digital-first, più rapide e comode.

ll delivery permette anche di fare cose che altrimenti sarebbero complicate: ordinare quando non si può uscire (45%), provare piatti nuovi o cucine insolite (33%) e mangiare a orari non convenzionali (24%). Tuttavia, non tutti giocano a carte scoperte: quasi 4 italiani su 10 ammettono di aver spacciato, almeno una volta, un piatto da asporto per una propria creazione. È il fenomeno del delivery camouflage, e riguarda soprattutto contesti informali (cene con amici, aperitivi casalinghi, pranzi in famiglia). Le coperture più frequenti? Lasagne, pasta al forno e dolci, piatti abbastanza credibili da sembrare homemade ma troppo impegnativi da voler davvero cucinare. E mentre la Gen Z lo vive con leggerezza e ironia, tra i Millennials prevale ancora il senso di “furbizia”: il 60% non lo ammette mai apertamente. Insomma, c’è chi cucina e chi sa solo ordinare bene. Questo altresì dimostra che se una volta ordinare cibo a casa era sinonimo di pigrizia oggi è diventato un gesto di cura personale (magari ammantato da un po' di vanità, con il 42% degli italiani che dichiara di scegliere il cibo in base al potenziale instragammabile) tanto che per il 57% degli italiani rientra nelle proprie routine di self-care.
Nel 2025, anche il cibo diventa genderless: il 61% degli italiani è d’accordo nel dire che non esistono più piatti “da uomini” o “da donne”. Il sushi non è più femminile, la bistecca non è più maschile. A guidare molte scelte, poi, c’è l’universo digitale. Il 46% si lascia ispirare da serie Tv o film e il 57% ammette di aver copiato una ricetta o un trend dai social. Social network, piattaforme di streaming e Just Eat: la nuova triade del food pop contemporaneo. Ispirazioni che inseriscono le abitudini in food delivery degli italiani all'interno di un contesto culturale più ampio e globale in cui si fanno largo i concetti di benessere e identità. L’influenza della cultura coreana, per esempio, continua a crescere, trasformando piatti come kimchi e tteokbokki in veri simboli pop (+44% e +61% di contenuti TikTok in Italia nell’ultimo anno). Nell’ultimo anno, infatti, analizzando i dati registrati su Just Eat, la cucina coreana ha avuto un boom tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, con un incremento di ordini di piatti tipicamente coreani come kimchi (+76%), bibimbap (+21%), fried chicken (+31%). La Corea è ormai entrata nelle case (e nei carrelli digitali) degli italiani, unendo comfort e curiosità globale. Parallelamente, cresce anche la voglia di autenticità e si rafforza il trend della conscious home cooking che premia i piatti di derivazione, fattura e gusto casalinghi.
Guardando al futuro, il mondo del food delivery si muove su più direzioni. Secondo Grand View Research, il mercato italiano continuerà a crescere nei prossimi anni, passando da circa 1,3 miliardi di dollari nel 2024 a 1,8 miliardi entro il 2030 (+4,8% annuo). Ma non è solo una questione di volumi: le nuove abitudini si intrecciano sempre più con il benessere, la sostenibilità e l’esperienza emotiva legata al cibo, ridefinendo il modo in cui gli italiani vivono il delivery. La convenienza si fa sempre più integrata e personalizzata: non si ordina solo per fame o mancanza di tempo, ma per ascoltare il proprio stato d’animo, condividere un momento o cercare conforto. In parallelo, cresce l’attenzione verso scelte alimentari più consapevoli e sostenibili, che uniscono valori e identità. A sostenere questa evoluzione interviene la tecnologia: dati, logistica e nuovi modelli come le cloud kitchen rendono l’esperienza più fluida e vicina ai bisogni reali delle persone. Il risultato è un ecosistema maturo, dove il delivery non è più solo un servizio ma una forma di espressione quotidiana, capace di unire praticità, emozione e innovazione.